Bartolomeo Romano*

Viviamo tempi bui, nei quali princìpi di civiltà giuridica, faticosamente costruiti e difesi nei decenni e persino nei secoli passati, sembrano vacillare per effetto di attacchi, sempre più duri e decisi, che rischiano di colpire il cuore delle nostre libertà e della nostra democrazia.

La cartina di tornasole del dibattito tra garantisti e giustizialisti sembra essere rappresentata dalla riforma della prescrizione, tenacemente voluta dal ministro Bonafede, che di fatto elimina la prescrizione dopo una decisione di primo grado. Una previsione che trasformerà l’imputato in eterno giudicabile, con la conseguenza che si darà vita all’ergastolo processuale. E che pregiudicherà le stesse persone offese, le quali hanno il diritto di ottenere giustizia in tempi certi. Il tutto in spregio agli articoli 27 ( principio di non colpevolezza) e 111 ( principio della ragionevole durata dei processi) della Costituzione e all’articolo 6 della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo ( che stabilisce la ragionevole durata dei processi e definisce la persona accusata “presunta innocente”).

Spero, dunque, che si fermi questa barbarie, che rischia di pregiudicare le stesse libertà civili e politiche dei cittadini, eliminando la riforma Bonafede ( proposta Costa) o, almeno, spostandone l’efficacia di un anno ( come nel lodo Annibali, però respinto in commissione). Le altre ipotesi attualmente sul campo, come il lodo Conte- bis, non più nel “milleproroghe” ma nel ddl delega sul processo penale, approvato in Consiglio dei ministri, il 14 febbraio, sembrano del tutto inappropriate, come del resto l’intero disegno di legge.

Appunto: la mia preoccupazione è più profonda e ampia di quella, già serissima, legata alla prescrizione. Anzi, temo che il dibattito sulla prescrizione sia utilizzato come un pericoloso e subdolo cavallo di Troia per scardinare il sistema di garanzie e lo stesso Stato di diritto. Nella corsa al populismo mediatico- giudiziario, ho avvertito - e credo di non essere il solo - un continuo alzare i toni, con proposte sempre più estreme, che hanno richiamato alla mente la storia della Rivoluzione francese, nella quale i puri sono stati superati dai più puri, con conseguenze tragiche.

Così, con stupore e imbarazzo prima, e ( confesso) con timore e preoccupazione poi, ho ascoltato le affermazioni di Piercamillo Davigo e Nicola Gratteri, non solo in materia di prescrizione, ma - in senso più ampio - di giustizia penale. Le opinioni dei due alti magistrati sono note e esigenze di sintesi impongono di non discuterle nel merito. Basti richiamarle a grandi linee. Per Davigo: occorre eliminare il divieto di reformatio in peius; rendere responsabile in solido l’avvocato ( che dovrebbe depositare fino a 6mila euro!) in caso di inammissibilità del ricorso; consentire cambi di giudice senza rinnovare gli atti; rivedere il gratuito patrocinio. Per Gratteri: occorrerebbe generalizzare il processo a distanza per tutte le vicende penali; bisognerebbe creare campi di lavoro gratuiti per i detenuti come terapia e rieducazione; il carcere di Bollate, la casa di reclusione aperta nel 2000 nell’hinterland milanese, sarebbe un mero spot.

Ma, ad altri, le proposte sopra richiamate devono essere sembrate moderate: così, Giancarlo Caselli ha suggerito, addirittura, di eliminare del tutto l’appello. Pericolo concreto, se il prossimo 21 e 22 febbraio, a Brescia, l’inaugurazione dell’anno giudiziario dei Penalisti Italiani sarà proprio su “l’appello irrinunciabile. In difesa del doppio grado di giudizio”.

Inoltre, certa stampa accoglie e rilancia tutte tali tesi: sul presupposto che, se una persona è sottoposta a processo, è, quasi certamente, colpevole; e, del resto, lo stesso ministro della Giustizia in carica ha affermato che in carcere gli innocenti non vanno... A ciò si aggiunga che, per alcuni editorialisti, chi la pensa diversamente è fannullone, ladro, corrotto e, comunque, in cattiva fede o agisce per biechi interessi personali. Non si criticano ( eventualmente) le idee, ma si attaccano direttamente le persone che hanno opinioni diverse.

Viviamo tempi bui, non solo per il contenuto di molte delle idee che circolano, tipiche dell’inquisizione o di Stati autoritari, ma anche per il modo di affermarle. E questo dovrebbe preoccupare tutti, comunque la si pensi. Credo però che, se continuiamo così, una seria riforma della giustizia non la farà un guardasigilli ma un ministro dell’Economia, perché dovremo - tutti noi - risarcire ( anzi, indennizzare) chi ha subito processi troppo lunghi ( che la eliminazione della prescrizione diluirà ancora) e ingiuste detenzioni. E, forse, allora, la nostra civiltà giuridica sarà più salda, evoluta e moderna.

* ordinario di Diritto penale nell’Università di Palermo