Sono bastate meno di 48 ore per spazzare via le speranze che in Turchia ci fosse ancora un barlume di democrazia. Lunedì il tribunale di Silivri aveva assolto gli otto imputati simbolo delle proteste di Gezi Park scoppiate nel 2013 che nel corso degli anni hanno portato in carcere 5mila persone. Tra loro il noto imprenditore e attivista per i diritti umani Osman Kavala, da due anni in carcere e sotto la spada di Damocle dell’ergastolo.

Caduta l’accusa di voler sovvertire l’ordine costituzionale, si attendeva la sua liberazione immediata ma una doccia fredda ha riportato la situazione al punto di partenza.

La procura di Istanbul infatti ha emesso un nuovo mandato di arresto per Kavala, questa volta gli viene attribuita la partecipazione al fallito colpo di Stato del luglio 2016 per il quale Erdogan ha sempre indicato il religioso Fetullah Gulen come ispiratore. Da allora sono state incarcerate circa 77mila persone, licenziando 150mila impiegati pubblici e membri delle forze armate e facendo chiudere dozzine di giornali e canali mediatici. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sempre asserito che non esistevano basi giuridiche per la detenzione di Kavala e il nuovo arresto ha provocato la reazione di Nacho Sanchez Amor, relatore del Parlamento Europeo per la Turchia: «Non c’è modo di credere in alcun miglioramento in Turchia se il procuratore torna indietro ogni volta che si fa un passo avanti. Siamo di nuovo in un periodo buio». Per Human Rights Watch il mandato di arresto è «illegale e vendicativo» mentre Amnesty International ha parlato di «un atto di deliberata e calcolata crudeltà».

In realtà la giustizia turca non è nuova ad operazioni del genere.

L’ ex parlamentare del Partito repubblicano del popolo ( Chp), Eren Erdem, anch’esso impegnato nella difesa dei diritti umani, era stato prima assolto dal Tribunale di Istanbul e dopo poco di nuovo arrestato, la tecnica è sempre la stessa: aprire nei riguardi di oppositori molto apprezzati nella società civile almeno due procedimenti penali diversi. La stessa sorte subita da intellettuali come Ahmet e Mehmet Altan e a Sahin Alpay.

Il caso Kavala assume un significato importante per la figura del 62enne, presidente dell’istituto Anadolu Kültür, protagonista dal 2014 nella risoluzione del conflitto con i curdi e per la riconciliazione turco- armena. Ha speso ingenti capitali per progetti di solidarietà tanto da diventare il campione antinazionalista, un nemico mortale per Erdogan che al momento dell’arresto lo aveva definito il “Soros turco”.