La battaglia sulla prescrizione ha dato peso all'avvocatura di Angelo Panebianco (Corriere della Sera, 9 febbraio 2020) "Diversi alti e illustri magistrati, credo anche a nome di quei loro colleghi, sono venuti allo scoperto sul tema della prescrizione manifestando il loro dissenso nei confronti della legge Bonafede e dell’opinione di altri magistrati. Con interventi e interviste dalle quali i non addetti ai lavori, e anche i politici, possono apprendere molto.  Questa vicenda della prescrizione, per giunta, sta dando maggiore peso anche agli argomenti degli avvocati penalisti, per lungo tempo ridotti al silenzio dal circo mediatico-giudiziario, trattati più meno come complici dei delinquenti da magistrati che all’Università erano distratti o assenti quando il professore trattava il tema delle garanzie costituzionali. Queste novità in seno alla magistratura hanno effetti sulla sfera politica. Perché, almeno sul caso della prescrizione, la classe politica non ha l’impressione di trovarsi di fronte a una corporazione giudiziaria compatta e pronta alla guerra. Per conseguenza, essa diventa meno propensa a rinserrarsi entro i vari schieramenti, è più fluida, più libera di dividersi lungo linee trasversali. Certamente in questo momento è Matteo Renzi che, nell’area di governo, guida il fronte degli oppositori alla legge Bonafede. Ma è anche interessante la posizione del Pd. Ci fu un tempo in cui il Pd (al pari dei suoi predecessori, dal Pci al Pds ai Ds) cavalcò ogni giustizialismo, per colpire gli avversari ma anche per «tenersi buoni» i magistrati. Ora le cose sono diverse. Sicuramente, dopo tanti anni di propaganda giustizialista e di conseguente «diseducazione civica», una parte dei militanti e degli elettori di quel partito continua ad essere attratta dalle sirene dell’autoritarismo giudiziario. Ma sembra proprio che la maggioranza dei parlamentari del Pd sia su altre posizioni" Come controbattere a chi ti sbatte in faccia i parenti delle vittime? di Guido Vitiello (Il Foglio - 19 febbraio 2020) I teorici del processo infinito, dello stato come sovrano assoluto sul tempo dei cittadini, di volti ne hanno fin troppi. Così come Dickens, diceva Manganelli, “per farvi piangere vi prende a bambini morti in faccia”, loro ti schiaffeggiano con i parenti delle vittime – vedi Padellaro che, per mettere a tacere il leguleio Caiazza, gli mette sotto il naso l’uomo simbolo della strage di Viareggio, con il corpo coperto di ustioni. Come rispondere a questi ricattucci melodrammatici? Il solito Feltri Non tutti i mali vengono per nuocere. Il Coronavirus se dilaga in Africa finalmente sarà possibili in Italia chiudere i porti per motivi sanitari senza scomodare il razzismo. — Vittorio Feltri (@vfeltri) February 17, 2020 Processo in diretta da Giletti di Cataldo Intrieri (Linkiesta) Ieri sera «a un’ora pericolosamente tarda» (cit. Francesco Saverio Borrelli) è andata in onda nella popolare trasmissione di Massimo Giletti “Non è L’Arena” un servizio sulle nuove mafie romane che segna una nuova frontiera nell’inarrestabile progresso del linciaggio mediatico. Ospiti di Giletti erano il giornalista Daniele Piervincenzi, noto oltre che per i suoi servizi in materia, anche per essere stato vittima di una brutale aggressione da parte del boss di Ostia Roberto Spada, il magistrato Adolfo Sabella, già prestato alla politica come assessore alla Legalità (evidenteente, non era sufficiente alla materia l’ordinaria attività delle forze dell’Ordine e dei suoi colleghi) e poi ritornato al vecchio lavoro e, infine, la giornalista della redazione Francesca Fagnani. Non c’era traccia di un avvocato, nonostante il recente exploit del presidente dell’Unione camere penali Giandomenico Caiazza in un faccia a faccia con Pier Camillo Davigo sulla stessa rete ne avesse dimostrato una certa utilità.Anche se nel cuore della notte, il dibattito era interessante e presentava come piatto forte la vicenda di una giovane avvocata del foro di Roma arrestata dalla magistratura capitolina con l’accusa di concorso esterno verso alcune delle associazioni mafiose più pericolose tra cui quelle facenti capo al defunto Fabrizio Piscitelli, assassinato ai primi di agosto, e ai famigerati Casamonica delle cui abitazioni trasudanti il più pacchiano lusso veniva data ampia e soddisfatta documentazione. (...) Tutto ciò non ha impedito ai presenti di intrattenersi sulla figura dell’arrestata, ignota anche a buona parte del foro locale, vista la giovane età e la non lunga militanza professionale, descritta come una sorta di dark lady del crimine, nientemeno che «anello di congiunzione» tra la mafia e le professioni. Uno scenario di indagine prediletto dalla Procura di Roma che ne ha fatto il canovaccio di una monumentale inchiesta “Mafia Capitale” non condiviso dalla Corte di Cassazione che ha escluso la natura mafiosa di un‘associazione facente capo a Massimo Carminati che includeva plasticamente imprenditori, politici e malavitosi.