Cantò ladri, prostitute e galeotti. Cantò gli ultimi, i derelitti. E nei suoi testi risuonano i versi di Umberto Saba. Il Saba di Città Vecchia: “Qui degli umili sento in compagnia / il mio pensiero farsi / più puro dove più turpe è la via”. Il 18 febbraio Fabrizio De Andrè avrebbe compiuto 80 anni. Ma la sua vena trasgressiva, il suo male di vivere, in questi ultimi anni, sono stati sepolti da una ondata di conformismo. Un’operazione di normalizzazione effettuata soprattutto nello studio Tv di Fabio Fazio, il laboratorio del perbenismo di sinistra, che ha ridotto De Andrè a icona patinata buona per tutti i salotti. Tanto che a vent’anni dalla sua morte, De Andrè è celebrato e citato anche da chi inneggia alle patrie galere o da chi chiede più pistole nel nome del cuore immacolato di Maria. Suggeriamo a lor signori una rapida rilettura delle suo opere. Potrebbero cominciare con "Don Raffaè" - consigliabile soprattutto alle prefiche dell’antimafia da parata - la canzone in cui viene celebrata la detenzione di Raffaele Cutolo: “Voi tenete un cappotto cammello / Che al maxi-processo eravate 'o cchiù bello / Un vestito gessato marrone / Così ci è sembrato alla televisione…”. Il quale Cutolo, peraltro, ringraziò personalmente De Andrè avviando una breve ma intensa corrispondenza epistolare. Ma questo Fabio Fazio non lo ha mai raccontato. Non era il caso. Chi ha scoperto il fervore della fede cattolica dimenticando però il messaggio di un certo Gesù di Nazaret, potrebbe invece riascoltare "Ave Maria". Lì tra quei versi potrebbe incrociare una Madonna dolcissima ma terrena: “Ave Maria, adesso che sei donna, ave alle donne come te, Maria,/ femmine un giorno per un nuovo amore / povero o ricco, umile o Messia”. “Avevo urgenza di salvare il cristianesimo dal cattolicesimo”, spiegò De Andrè presentando la sua Buona novella.  Forse è arrivato il momento che qualcuno salvi De Andrè...