Con una semplificazione temeraria, si potrebbe arrivare a dire che persino nell’Anm l’integralismo sul processo penale condiziona la vocazione garantista dei progressisti. Si potrebbe cioè insinuare che la linea di Autonomia e Indipendenza, e in particolare del suo fondatore Piercamillo Davigo, abbia condizionato la corrente progressista, Area, che oggi esprime il presidente dell’Anm, Luca Poniz. Secondo uno schema analogo a quello che, nella politica propriamente detta, viene rappresentato dal centrodestra, ma anche da Italia viva, per mettere il Pd nell’angolo: siete politicamente subalterni, in materia di giustizia, all’integralismo di Bonafede e del Movimento 5 Stelle.

In realtà non è esattamente così. Ma è un dato il fatto che attorno alla polemica sulla prescrizione si consumi ormai parte dello scontro anche all’interno dell’Associazione magistrati, in vista del voto di primavera che si annuncia come una cesura forse irreversibile. Dall’idilliaca unità uscita dalle urne nel 2016, con la decisione di formare una giunta unitaria e lasciare alle quattro correnti la presidenza per un anno ciascuno, si arriverà probabilmente a una divisione addirittura bipolare. Da una parte i tre gruppi che oggi controllano la maggioranza nell’Associazione nazionale magistrati, ossia Area, Autonomia e indipendenza e Unicost. Dall’altra Magistratura indipendente, apparentemente isolata eppure impegnata a costruire un “polo moderato” insieme con alcuni magistrati usciti da Unicost e riuniti nel neonato Movimento per la Costituzione. Si tratta dell’ex segretario del gruppo centrista Enrico Infante, dell’ex vicepresidente Anm Antonio Sangermano, di Enrico Pavone, già presidente di sezione dell’Anm a Milano, e di altri. L’alleanza larga è stata già sperimentata alle ultime suppletive per il Consiglio superiore, in cui Pasquale Grasso è uscito battuto con onore dalla candidata di Area Elisabetta Chinaglia, e sono convinti di poter portare via altri voti sia da Unicost che da “AeI”.

Ed è qui che l’ordinario conflitto politico della magistratura italiana si salda con il fenomeno Davigo. Nelle ore in cui la stessa “Mi” e Unicost si riuniscono a congresso ( nel primo caso da oggi al Parco dei principi di Roma, nel secondo da domani in Cassazione) circola infatti una versione finora sottovalutata sul cambio di rotta uscito, sulla prescrizione, dal congresso genovese dell’Associazione magistrati. Nella mozione finale, infatti, il presidente Luca Poniz, di Area, ha ottenuto consensi su un sostanziale via libera alla norma Bonafede, non più subordinato alla preliminare definizione di una riforma penale capace di evitare che la durata dei giudizi aumenti in modo incontrollato. Da una simile conversione si è dissociata la componente più movimentista interna ad Area, Magistratura democratica. Che nei giorni successivi ha espresso la propria perplessità anche con un intervento pubblicato sul Dubbio dal presidente Riccardo De Vito. Nelle settimane successive, dal fronte opposto, Magistratura indipendente ( che con una forzatura è assimilata al “centrodestra” dell’associazionismo giudiziario) è intervenuta con prese di posizione della presidente Mariagrazia Arena e della segretaria Paola D’Ovidio, secondo le quali l’impostazione di Bonafede rischia di favorire «una giustizia esercitata senza adeguata ponderazione» e che sacrifichi «inaccettabilmente la qualità delle decisioni e le garanzie costituzionali dei soggetti coinvolti». “Mi” chiede dunque di riportare la linea dell’Anm sulla prescrizione all’approccio pre congresso di Genova: d’accordo sullo stop ai termini di estinzione dei reati dopo la sentenza di condanna in primo grado, ma a condizione di approvare contestualmente, e non quando sarà, una riforma processuale che acceleri davvero i tempi.

Possibile che Area, capace di esprimere con Eugenio Albamonte il presidente più attento nella storia dell’Anm al dialogo con l’avvocatura, abbia tradito l’impostazione garantista? Secondo gli ormai sempre più radicali avversari di “Mi”, così è perché, spiega un appartenente al gruppo moderato, «Poniz è costretto a fare i conti con l’alleanza sempre più strutturale tra Area e il gruppo di Davigo soprattutto nel Csm». E ancora: «Visto che i davighiani di Autonomia e indipendenza sono favorevoli in modo incondizionato alla riforma della prescrizione, la governance progressista dell’Anm teme che, se si allontanasse troppo da quell’integralismo, una parte dei magistrati oggi con Davigo lascerebbe il gruppo di Piercamillo per confluire nel polo moderato che noi di “Mi” andiamo a promuovere con gli amici di Movimento per la Costituzione», cioè i “fuoriusciti” da Unicost. Un’interpretazione forse estremizzata, ma che dimostra come la prescrizione abbia una sorta di potere venefico in qualunque contesto politico precipiti. Di certo, oltre al rischio di una ritorno in “Mi” di davighiani insofferenti ( molti dei quali nel 2016 avevano seguito l’ex pm di Mani pulite proprio nella scissione da Magistratura indipendente), c’è il dissenso di Magistratura democratica. Non solo di De Vito e della segretaria Mariarosaria Guglielmi, ma anche di storici leader della corrente come Edmondo Bruti Liberati. Tutti delusi dal sì senza riserve alla prescrizione di Bonafede.

Una sola cosa tiene unita la magistratura: il no alle sanzioni per i giudici “lenti”, con cui il guardasigilli pensa di bilanciare la sua contestata norma. Ma è un comune denominatore che non basta a scongiurare una sfida all’ultima toga nelle imminenti elezioni per l’Anm in arrivo tra poco più di un mese.