In questi settimane alcuni giornali hanno dato notizia del rigetto da parte del giudice delle indagini preliminari della richiesta di custodia cautelare per i boss Nino Madonia e Gaetano Scotto. Si tratta della richiesta fatta dalla procura generale di Palermo per l’omicidio dell’agente Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio. Parliamo di una brutta storia dove giustamente i familiari ancora gridano giustizia. Antonino Agostino, detto Nino, era noto come “il cacciatore di latitanti”. Agente della questura di Palermo, stava indagando sul fallito attentato al giudice Giovanni Falcone sulla spiaggia dell’Addaura, dove era stato abbandonato un borsone contenente tritolo.

Ma in questa occasione, ancora una volta, parlando dei “delitti eccellenti” si ripescano interrogatori di Giovanni Falcone a un estremista di destra palermitano, Alberto Volo, definito un mitomane in più di una sentenza. Volo parla di Gladio, dice addirittura di far parte della “Universal legion”, una struttura legata ai servizi segreti che assomigliava molto a Gladio e arriva a mettere in relazione i delitti di Palermo con l’omicidio Moro, i servizi segreti e la massoneria.

Un giornale, riesumando questa vicenda, scrive nero su bianco che quegli interrogatori dicono molto della grande attenzione di Falcone per le parole di Volo. Ma non è così. O meglio, l’attenzione l’ha data, perché il giudice antimafia per eccellenza aveva il difetto di vagliare attentamente le dichiarazioni dei pentiti o testimoni. Sapeva essere razionale, saper separare i deliri dalle dichiarazioni verosimili. Legittimo che un giornalista o magistrato inquirente ritenga che i racconti di Volo siano degni di nota, non corretto però far credere che Falcone prendesse in considerazione i suoi racconti.

Cosa pensava di lui? Basta leggere gli atti e la sua relazione in merito al delitto di Piersanti Mattarella. «La palma del "migliore" se così si può dire – scrive Falcone -, spetta certamente ad Alberto Volo. Nei suoi racconti egli è capace di accomunare idee politiche e tarocchi, contatti con servizi segreti e vicende amorose. La vicenda nella quale è implicato esalta la sua mania di protagonismo. Vale la pena di rilevare immediatamente come il comportamento del Volo in questo processo risponda a quel ruolo fantastico e delirante del quale l'imputato ha deciso di connotare ogni momento della sua esistenza».

Poi Falcone prosegue con un esempio: «Basta al riguardo aver riferimento alle notazioni contenute nella sentenza 24.5.1977 della Corte d'Appello di Palermo (con la quale il Volo fu condannato per una rapina di assegni bancari che l'imputato "pretendeva" poi di rivendere); ovvero alla lettera anonima da luì spedita alla Questura dì Palermo e nella quale si autoaccusava di far parte di organizzazioni eversive: lettera il cui intento era quello di sollecitare gli inquirenti a "non trascurarlo" nell'ambito della indagine sulla strage di Bologna».

Ma quindi Falcone ha preso in considerazione Alberto Volo su quale aspetto? Presto detto. «Deve essere chiaro – spiega sempre Falcone-, peraltro, che dietro alle "mitomanie" ed al "protagonismo" del Volo (e che lo inducono alle più distorte e talvolta fantasiose ricostruzioni dei fatti) sta comunque il suo inserimento, quantomeno a livello conoscitivo, nella realtà umana della destra eversiva. La frequentazione del Mangiameli lo ha portato a sapere molto dei fatti legati al terrorismo ed anche dei progetti in atto».

In sostanza Falcone è riuscito a separare la mitomania da alcuni fatti che lo stesso Volo poteva conoscere avendo appunto frequentato la destra eversiva. Cosa sta a significare? Può essere utile una citazione messa a epigrafe del libro “Complotto!” scritto a quattro mani da Massimo Bordin e Massimo Teodori. Si tratta quella di Mordecai Richler: «Il mio problema con i teorici della cospirazione è che, se gli dai un dito di porcherie accertate, loro si prendono tutto un braccio di fantasie. O peggio».

Tutto qui. La differenza con chi è affetto della patologia dei complottisti, è che Falcone sapeva distinguere i fatti concreti dai racconti fantasiosi. Sul delitto Mattarella è stato chiarissimo. Lui parla di delitto “politico mafioso” e gli esecutori materiali, che secondo lui erano i nar (ma dove, a quanto pare, non era fermamente convinto ascoltando non solo la testimonianza di Valerio Fioravanti, ma anche quello di Pietro Grasso), avrebbero fatto semplicemente da manovalanza e non ha nulla a che fare con Gladio o P2. Lo mette nero su bianco prendendo spunto proprio dalle dichiarazioni di Volo, il quale disse che «l 'omicidio era stato deciso a casa di Licio Gelli e provocato dalle aperture al Pci che in quel periodo stavano maturando in Sicilia e di cui il Mattarella era il principale sostenitore. Per compiere l'omicidio, Gelli si avvalse di sua "manovalanza" e cioè di giovani come Fioravanti e Cavallini, quest'ultimo in particolare, legato ai servizi segreti».

Falcone ha vagliato quindi anche questa ipotesi e l’ha scartata in pieno. Si convince che la «la valutazione negativa di Fioravanti come killer della P2 nasce nell’ambiente di Terza Posizione, soprattutto dopo l’omicidio di Mangiameli» e che «i rapporti presunti tra Fioravanti e Gelli non costituiscono oggetto di cognizione diretta, ma vengono dedotti dai rapporti tra Valerio e Signorelli, ritenuto in contatto con Gelli per tramite di Aldo Semerari». Falcone scarta questa ipotesi e ciò per «l’irriducibile vocazione di Cosa Nostra a salvaguardare la propria segretezza e la propria assoluta indipendenza da ogni altro centro di potere esterno».

Questo è ciò che pensava Falcone e la casuale dell’omicidio di Mattarella la ritrovava nelle sue scelte politiche ben precise, soprattutto sulla questione dell’aggiudicazione degli appalti che avrebbero messo in difficoltà il potere mafioso legato soprattutto a una determinata corrente politica della ex Dc.

Ma Falcone ha vagliato anche il discorso Gladio. Dopo la pubblicazione da parte dell’ex presidente del consiglio Giulio Andreotti della sua esistenza e dopo le notizie stampa che parlarono di attività deviate della stessa, il giudice Falcone ha esteso le indagini anche al Sisde e non ha trovato nulla che portasse alla pista Gladio, tranne che rinvenire un appunto dei servizi concernente uno dei presunti killers di Mattarella, ma palesemente estraneo ai fatti. Però ha potuto appurare che l’estremista Alberto Volo non ha mai avuto contatti con Gladio e servizi, nonostante le sue dichiarazioni, anche televisive. E quindi si ritorna alla questione principale. Che senso ha, ancora oggi, scrivere che Giovanni Falcone aveva grande interesse per le vicende raccontate da un mitomane che invece aveva prontamente smascherato?