Le doti diplomatiche di “Giuseppi” Conte sono note e ormai conclamate. Utili, anzi preziose, ma non sufficienti, di per sé, a creare un leader e meno ancora uno statista. Le chances dell’ex “avvocato del popolo” di ambire a un ruolo centrale e longevo nella politica italiana verranno messe alla prova nei prossimi mesi. Ma già per superare il primo ostacolo dovrà ricorrere a qualcosa di più solido della promessa di compensare il blocco della prescrizione con processi resi rapidissimi grazie a un colpo di bacchetta magica. Conte deve trovare in tempi rapidi una formula di mediazione tale da evitare una spaccatura clamorosa in aula che metterebbe a rischio governo e, forse, legislatura ma ancor prima e ancor di più il suo ruolo politico e magari anche la sua permanenza a palazzo Chigi.

Le aperture di credito nelle quali ha largheggiato Zingaretti prima e ancor più dopo le elezioni emiliane, sono sempre apparse un’arma a doppio taglio. Sono un portone aperto per rinsaldare la centralità dell’avvocato pugliese nel sistema politico italiano, ma solo a patto che il medesimo dimostri di saper tenere a bada la maggioranza e nello specifico soprattutto la mandria imbizzarrita, in fase di stampide, del M5S, guidandola con diplomazia ma anche con fermezza verso l’accordo stabile di coalizione con il Pd. Un fallimento sul fronte della prescrizione porrebbe una pesantissima ipoteca sull’esito della prova complessiva che attende il premier.

Quella soluzione di mediazione, però, non può consistere che in un sostanziale passo indietro dei 5S rispetto alle posizioni rigide sin qui assunte. In politica, e in quella italiana più che altrove, tutto è sempre possibile. Tuttavia non è facile immaginare che un partito allo sfascio imponga il proprio volere su una materia tanto delicata, contro il giudizio di una parte sostanziosa della stessa magistratura per non parlare dell’avvocatura, con un provvedimento a forte rischio di incostituzionalità e nonostante il dissenso di tutto il resto della maggioranza. Bonafede e Crimi, però, non possono a propria volta indietreggiare, anche se, muovendosi su un ghiaccio tanto sottile, accettare il lodo Annibali proposto da Italia viva e rinviare di un anno tutto, in attesa di definire in maniera credibile le linee del nuovo processo e dei suoi tempi, sarebbe un passo quasi ovvio per qualunque altro partito. Non per i 5S, forzati dalla stessa condizione di difficoltà estrema a fare quadrato con rigidità ancora maggiore del solito intorno alle loro bandiere e consapevoli che una mediazione su quello che è per eccellenza il “loro” fronte, la giustizia, verrebbe interpretato da quel che resta della base e dell'elettorato non come prova di saggezza ma come segno definitivo di resa al Pd e al sempre odiatissimo Matteo Renzi.

Il lodo Conte, che nonostante l’ambiguità mediatica prende il nome dal deputato di LeU che lo ha proposto e non dall’omonimo presidente del consiglio, è sembrato per un po' la quadratura del cerchio ma è in realtà assolutamente impraticabile, con la sua distinzione tra assolti in primo grado, per i quali la prescrizione ancora esisterebbe, e condannati. Il compito del premier è quindi doppio, trovare un modo per indorare la pillola e, soprattutto convincere i 5S a ingoiarla. La prima missione è certamente nelle sue corde. Quanto alla seconda, invece, Conte deve ancora dimostrare di saper puntare i piedi e imporre una scelta inevitabile, pena l’esplosione della maggioranza.

Certo, c'è sempre l'opzione Tav. I 5S potrebbero tenere in punto e poi accettare la sconfitta in aula, come accadde con la tratta Torino- Lione. Ma il precedente non è di buon augurio, data la crisi che seguì un attimo dopo, e l’immagine di Conte come capo del governo ne uscirebbe comunque devastata. Si può scommettere che un attimo dopo Renzi inizierebbe a chiedere la sua testa e gli “autonomisti” del M5S, guidati da un Di Maio silenzioso ma non inesistente, non esiterebbero un istante a indicare Giuseppi come responsabile di una rotta che, nello stato in cui versa il Movimento, potrebbe essere il passo fatale.