La notizia è nota e se ne parla ormai da qualche mese: dal primo gennaio il corso della prescrizione nel processo penale è sospeso – sine die – a seguito del primo grado di giudizio, sia esso terminato con una condanna o con un’assoluzione.

Ciò che però non è stato, a parere di chi scrive, veramente analizzato – dal punto di vista tecnico giuridico - sono le ripercussioni che questa modifica avrà nel processo penale e nel sistema giudiziario italiano in generale.

Il – necessario – punto di partenza per un’analisi in tal senso risiede nella circostanza per la quale i processi in questa maniera non diminuiranno assolutamente, né diminuirà la loro durata, ma, al contrario, potrebbero non finire mai, lasciando il presunto innocente in una insopportabile fase di stallo, in un limbo eterno.

Questo dato è utile perché coloro che elogiano questa riforma fanno leva, per l’appunto, su un’asserita diminuzione dei processi e della loro durata. Evenienza, come detto, falsa.

Ed infatti, paradossalmente la ratio della prescrizione è proprio rinvenibile nell’esigenza di rispettare il fondamentale principio della ragionevole durata del processo: la prescrizione è, invero, la sola sicurezza circa il fatto che il processo avrà una fine.

Senza questo timer, senza questa clessidra, che granello dopo granello, detta i tempi ai giudici, sollecitandoli ad agire, gli stessi potranno protrarre un giudizio penale per anni.

Fine pena ( peraltro non definitiva) mai, dunque.

Il paradosso, come detto, risiede nella circostanza per la quale un imputato assolto in primo grado potrà rimanere sotto processo per l’intera durata della sua vita, in quanto nessuna regola imporrebbe ai magistrati di agire. Poniamo il caso, ad esempio, che il secondo grado di giudizio venga celebrato a distanza di molti anni dal deposito della sentenza di primo grado: in questa ipotesi l’applicazione di una sanzione penale diverrebbe addirittura inutile ed inopportuna in quanto la società non avrebbe più alcun interesse a punire l’imputato.

Peraltro, in questo contesto perderebbe di tutto il proprio valore la funzione rieducativa della pena, sancita dall’art. 27, c. 3 della Costituzione: l’imputato – assolto o condannato in primo grado – inizierebbe a scontare la pena a distanza di molto tempo dalla commissione del fatto e non trarrebbe dall’esecuzione penale alcuna rieducazione.

Tuttavia, come detto in altre sedi, le strade percorribili per diminuire veramente la durata ed il numero dei processi penali ci sono e sono numerose: il problema del sistema giudiziario nostrano risiede nella mancanza di strumenti di prevenzione alla commissione di un reato.

Il passo da operare dovrebbe essere quello di passare definitivamente da un concetto di repressione ad uno di prevenzione.

Un ulteriore mezzo sarebbe quello di aumentare il personale operante nelle cancellerie dei magistrati, dove i pochi funzionari, privi di risorse e mezzi, non possono ottemperare a tutte le varie incombenze, accumulando, così, ritardi ed errori su tutti i fascicoli processuali.* avvocato, direttore Ispeg - Istituto per gli studi politici, economici e giuridici

* avvocato, direttore Ispeg Istituto per gli studi politici, economici e giuridici