Al momento dell'annuncio, a metà del dicembre scorso, il percorso che a infine mosso ieri i primi timidissimi passi era stato battezzato col nome più jettatorio che la politica italiana conosca: “verifica”. L'esperienza racconta che nel Palazzo può cambiare tutto ma le verifiche finiscono sempre allo stesso modo: schiudendo i cancelli sul disastro. L'avvocato Conte si era affrettato quindi a ribattezzare l'avvio della nuova era del governo giallorosa “cronoprogramma”. Non proprio entusiasmante, difficile immaginare che qualcuno si scaldi per un “cronoprogramma”, ma sempre meglio che verifica. Infine, sull'onda dell'ottimismo regalato dagli elettori emiliani, Zingaretti ha ripiegato sulla tradizione: avvio della “Fase 2” del governo.

Parole e nomi a parte il concetto è chiaro: dovrebbe trattarsi non di una “ripartenza” ma della vera partenza di un governo e di un maggioranza che sin qui sono rimaste al palo.

Dunque, effettivamente, una “verifica”, per chiarire se i partiti della maggioranza hanno in comune qualcosa in più che la paura di Salvini e della destra. Ma anche un “cronoprogramma” perché senza un'agenda condivisa si finisce come negli ultimi mesi: paralizzati. E infine, certamente, almeno negli auspici di Conte e Zingaretti una “Fase 2”, perché si può campare sullo spauracchio della vittoria di Salvini per qualche mese ma non per qualche anno e, dopo l'Emilia, l'orizzonte del 2023 non è più un miraggio.

Non si può dire però che la “ripartenza” si stia tentando con il piede giusto. Già i tempi e le modalità rivelano una difficoltà che decisamente non si coniuga con le esigenze del presente. Ieri il presidente del Consiglio ha visto i capidelegazione della quattro forze di governo, la settimana prossima dovrebbe svolgersi un confronto più approfondito, poi arriverà il vero e proprio “vertice di maggioranza”. Dal quale saranno tuttavia bandite questioni troppo “divisive”. Come dire che di ciò su cui la maggioranza non è d'accordo e litiga, cioè su una parte sostanziosa dei problemi che hanno sin qui frenato il secondo governo Conte, è meglio tacere. Quei nodi, si spera, si scioglieranno da soli e non si tratta di robetta: Ilva, autostrade, prescrizione e nulla autorizza a credere che la lista non venga rimpinguata nei prossimi mesi.

Lo spirito con cui i capidelegazione si presentano al primo incontro è altrettanto modesto. Al netto delle dichiarazioni trionfalistiche, che nei prossimi giorni non mancheranno, ciascuno ha presentato la propria lista delle urgenze, l'elenco delle proprie belle bandiere. In alcuni casi le agende squadernate rendono utopistico dribblare i temi divisivi, nei singoli partiti e anche nella maggioranza. Il Pd vuole la modifica dei decreti sicurezza ma c'è che sospetta che si tratterebbe di un regalo al solito Salvini nello stesso Pd. I renziani esigono la revisione radicale della legge anti prescrizione e tema più “divisivo” il mercato al momento non passa.

Ma soprattutto la logica che ispira un po' tutti è ancora quella del contratto, cioè della definizione di un programma comune fondato sulla mediazione fra agende, esigenze e priorità diverse. Non è quella della definizione di un programma politico di governo, che per essere sviluppata presuppone l'esistenza di un terreno comune, almeno negli assi portanti, quanto a visione strategica e a prospettive condivise. Insomma, perché si possa tentare il passaggio ambizioso, ma allo stesso tempo irrinunciabile, a una vera fase di governo deve esserci prima una base politica solida. La politica viene prima, i “cronoprogrammi”, casomai, seguono.

Questo passaggio non è stato ancora neppure accennato e lo stesso premier, nell'intervista televisiva nella quale ha lanciato in prima persona, prendendo finalmente posizione, la coalizione progressista, lo ha fatto in realtà, ancora una volta, solo in nome dell'antisalvinismo. La verifica reale, dunque, non si snoderà nei prossimi mesi solo negli estenuanti vertici di maggioranza ma passerà per il dramma del M5S e per come il Movimento uscirà fuori, se ci riuscirà, da questa tempesta.

Passerà anche per la definizione della legge elettorale, percorso che potrebbe rivelarsi meno facile del previsto proprio perché la legge proposta è figlia di una fase nella quale si considerava frettolosamente archiviato il bipolarismo. In ballo, probabilmente, non c'è più la sorte del governo ma il suo dna: se si tratterà di un vero governo e di una maggioranza destinata a giocare una parte importante anche in futuro oppure, come è stato sin qui, solo una barricata eretta confusamente per frenare la destra.