Erano le 21: 15 del 26 gennaio del 1979 quando una donna di nome Ester, mentre si trovava nella stanza da letto, seduta dietro i vetri del balcone che si affacciava sul Viale Campania, a Palermo, sente una forte detonazione. Aveva istintivamente rivolto lo sguardo verso la strada proprio nel momento in cui un uomo era già caduto per terra, e aveva notato un individuo sui 35 anni con il braccio destro teso verso il basso, impugnando una rivoltella, esplodere diversi colpi. Il killer, secondo la testimonianza della donna, aveva sparato con tremenda freddezza e determinazione e, in questo brevissimo arco di tempo, aveva indirizzato ripetutamente lo sguardo verso il balcone della sua abitazione. I loro sguardi si erano incrociati, e, per un istante, aveva temuto per la propria vita.

L’uomo a terra, secondo la perizia medica, fu raggiunto da almeno quattro proiettili di arma da fuoco corta: tre alla testa e il quarto al collo. La morte avvenne quasi istantaneamente per le gravissime lesioni cranio- facciali provocate dai proiettili che raggiunsero la testa. I colpi furono esplosi tutti da una distanza superiore ai 20- 25 cm. Dagli atti emerge che l’unico proiettile repertato proveniva da un revolver calibro 38 special, del tipo Smith & Wesson. Stesso tipo di arma che avrebbe ucciso due mesi dopo il segretario provinciale della Democrazia cristiana, Michele Reina e un anno dopo l’ex presidente della Regione Piersanti Mattarella. Ma non solo. Altra analogia con il delitto eccellente è l’utilizzo del veicolo per commettere l’efferato omicidio: la targa era stata sostituita con un’altra formata da due spezzoni di diverse targhe.

Parliamo infatti di un omicidio mafioso e l’uomo a terra in quella fredda sera del 26 gennaio del ’ 79 era Mario Francese, colui che in quegli anni è stato il protagonista della cronaca giudiziaria e del giornalismo d'inchiesta siciliano. Abile ad anticipare gli inquirenti nell'individuazione di nuove piste investigative. Famoso anche per essere stato il primo ed unico giornalista ad aver intervistato Ninetta Bagarella, moglie di Totò Riina e sorella di Leoluca, il killer che lo ucciderà. Fu il primo ad aver messo mano su mafia- appalti. Proprio per questo fu ucciso dalla mafia. Con atteggiamento aperto, coraggioso e grande senso del comune, si immergeva nella ricerca della verità dei fatti di Cosa nostra, quei business sugli appalti che stavano insidiando la Sicilia, quegli intrecci tra politica, imprese e mafia che andavano radicandosi su un territorio già torturato dalle cosche.

Secondo i giudici che hanno condannato i mafiosi per l’omicidio di Mario Francese, la casuale è chiara. Dagli articoli e dossier redatti dal giornalista, «emerge – scrivono i giudici una straordinaria capacità di operare collegamenti tra i fatti di cronaca più significativi verificatisi nel corso degli anni, di interpretarli con coraggiosa intelligenza e di tracciare così una ricostruzione di eccezionale chiarezza e credibilità sulle linee evolutive dell’organizzazione mafiosa, in una fase storica nella quale emergevano le diffuse e penetranti infiltrazioni di Cosa nostra nel mondo degli appalti e dell’economia ed iniziava a delinearsi la strategia di attacco alle Istituzioni da parte dell’illecito sodalizio».

Una strategia eversiva che avrebbe fatto un “salto di qualità” proprio con l’eliminazione di una delle menti più lucide del giornalismo siciliano, di un professionista estraneo a qualsiasi condizionamento, privo di ogni compiacenza verso i gruppi di potere collusi con la mafia e capace di fornire all’opinione pubblica importanti strumenti di analisi dei mutamenti in atto all’interno di Cosa nostra. I giudici evidenziano il fatto significativo che sia stato proprio l’assassinio di Mario Francese ad aprire la lunga catena di “omicidi eccellenti” che insanguinò Palermo tra la fine degli anni 70 e il decennio successivo, in attuazione di un preciso disegno criminale che mirava ad affermare il più assoluto dominio mafioso sui gangli vitali della società, dell’economia e della politica in Sicilia.

Leggendo gli articoli di Mario Francese apparsi su Il Giornale della Sicilia, saltano all’occhio le sue inchieste sugli appalti e compaiono nomi di imprese nazionali che poi ritroveremo anche nel famoso dossier mafia- appalti redatto dagli ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno per volere di Giovanni Falcone. Cita l’impresa milanese Lodigiani, la Pantalena, la Garboli e in particolare la Saiseb: l'impresa con sede centrale a Roma che, conosciuta a Castelvetrano per il famoso contenzioso di oltre 3 milioni di euro con il comune, giocava un ruolo importante nella ricostruzione del Belice, facendo lavori per vari miliardi di lire, giocando molto sulle perizie di variante, facendo molto lievitare i costi degli appalti. Francese si chiese come mai un pregevole colonnello dei Carabinieri – dopo aver lasciato l’Arma- volesse andare a collaborare con questa grossa società. Francese si riferisce al colonnello dei carabinieri Giuseppe Russo, ucciso nel ’ 77 dai killer di Totò Riina. Secondo il giornalista Mario Francese l’omicidio Russo era collegato con la guerra di mafia che scoppiò per il giro di miliardi legato alla Diga Garcia. In seguito, dai vari documenti investigativi, risulterà un nome legato a quel giro di affari miliardari: è quello di Angelo Siino, il ” ministro dei lavori pubblici” della mafia corleonese. E sarà proprio Siino a dire che il movente dell'omicidio del colonello Russo è da ricercare nelle indagini che l'alto ufficiale aveva svolto nella costruzione della diga Garcia e nel suo interessamento per far aggiudicare i lavori della costruzione della diga Piano Campo all’impresa Saibeb. Era sembrato quasi un affronto, una vera e propria onta per Riina e il clan dei corleonesi. Il pentito Balduccio Di Maggio aggiungerà: «Riina stesso mi disse che dato che nella nostra zona non c'erano imprese in grado di concorrere a tale opera, l'unica soluzione possibile era quella di farla aggiudicare alla ditta Costanzo di Catania». E poi ci sarà Giovanni Brusca a dire: «Per volontà di Riina era stato stabilito che l'appalto andasse a Costanzo e Lodigiani».

Imprese nazionali di rilievo, appalti miliardari guidati da Totò Riina. Il giornalista Mario Francese aveva capito tutto, anticipando in parte quello che poi sarà evidenziato dal dossier mafia- appalti: per questo la commissione presieduta da Totò Riina ha deliberato la sua morte. Come detto, l’omicidio di Francese inaugurò la serie di delitti eccellenti. Il modus operandi mafioso è lo stesso. Utilizzo dello stesso tipo di pistola e la contraffazione della targa utilizzando due spezzoni di targhe diverse. Un motivo in più, forse, per accettare la sentenza Mattarella che assolse gli ex nar Fioravanti e Cavallini, condannando invece i mafiosi per l’omicidio e i due falsi pentiti come Angelo Izzo e Giuseppe Pellegriti per aver depistato le indagini. Anche in quel caso si parla di appalti tra le casuali dell’omicidio.

Il delitto del giornalista Mario Francese cadde nel dimenticatoio, tanto che l'inchiesta venne archiviata. Ci sono voluti anni per riaprirla su richiesta della famiglia. Il processo si è svolto con rito abbreviato, concludendosi nell'aprile del 2001, con la condanna a trent'anni di Totò Riina, Francesco Madonia, Antonino Geraci, Giuseppe Farinella, Michele Greco, Leoluca Bagarella ( esecutore materiale) e Giuseppe Calò. Anche in Cassazione l'impianto accusatorio ha retto, ma vengono assolti tre boss ' per non aver commesso il fatto': Pippo Calò, Antonino Geraci e Giuseppe Farinella. A far riaprire il caso di Mario Francese fu soprattutto il figlio Giuseppe. Nella notte tra il 2 e il 3 settembre del 2002 si è tolto la vita schiacciato da un dolore che lo aveva accompagnato fin dal primo momento dopo l’omicidio del padre.