Una cosa sono le dichiarazioni pubbliche, obbligatorie e preconfezionate. Tutt'altra quelle private, veraci e sincere. Ufficialmente palazzo Chigi garantisce che l'eventuale sconfitta del Pd in Emilia- Romagna non inciderebbe sul governo. Con maggior discrezione ammette che sarebbe un terremoto, e in realtà è anche questo un esercizio di understatement . Nell'ipotesi di una sconfitta, considerata in realtà tutt'altro che irrealistica, il governo si troverebbe al centro di una sorta di uragano Katrina, e dovrebbe affrontarlo di fatto senza leader in campo.

Di Maio, certo non a caso, ha scelto di mollare il timone un attimo prima della possibile esplosione. Zingaretti verrebbe ridotto da segretario ad anatra zoppa seduta stante. In campo, tra i leader, resterebbe solo Matteo Renzi che sta già affilando le armi. Se l'Emilia verrà conquistata dalla lega reclamerà una brusca sterzata nell'indirizzo del governo.

Chiederà di mettere all'angolo un M5S che potrebbe uscire in ginocchio dalla prova, perdendo una trentina di punti percentuali o giù di lì, e mirerà dritto alla testa di Giuseppe Conte. Nel giro di pochi giorni, il ragazzo di Rignano potrebbe avere dalla sua anche l'argomento più pesante: i numeri. La somma tra la batosta elettorale e il vuoto di leadership accelererebbe infatti senza dubbio la disgregazione del gruppo 5S al Senato e i potenziali transfughi di Forza Italia, che a Renzi sono molto più vicini di quanto non vogliano ammettere, diventerebbero determinanti.

La ' ripartenza' ( o ' verifica', o ' cronoprogramma' a seconda delle preferenze politico- lessicali) promessa da Conte e poi rinviata a urne emiliane chiuse diventerebbe uno psicodramma, consumato in clima di pura isteria. Con l'incubo del filotto, della caduta di Toscana e Marche ma anche di Campania e Puglia, in maggio un Pd acefalo esigerebbe da un M5S acefalo quel che il movimento non potrebbe dare: un impegno strategico e programmatico tale da trasformare, probabilmente fuori tempo massimo, il governicchio in esecutivo ambizioso e capace di impostare politiche di ampi orizzonti.

Conte parla sul serio quando afferma che comunque vadano le cose in Emilia il governo, lunedì prossimo, ci sarà ancora. Ed è anche vero che cercherà di resistere, ma sarà come rimanere asserragliati in un fortino assediato, con acqua scarsa e viveri all'osso. Questione di mesi, non di anni.

La vittoria in Emilia modificherebbe il quadro. Soprattutto dal punto di vista psicologico la spinta sarebbe galvanizzante. Zingaretti sarebbe ancora segretario di fatto e non sol di nome. L'arrembaggio renziano subirebbe una battuta d'arresto, forse fatale. Il tentativo di ripartire verrebbe compiuto credendoci molto di più o non con la rassegnazione dichi già sa di combattere una battaglia persa. Ma qualche guaio grosso ci sarebbe comunque. Chi vincerà domenica è certo, chi ha già perso invece è noto: i 5S. Il successo di Bonaccini ne metterebbe a nudo la superfluità.

Il calo di consensi promette di essere da montagne russe, di quelle da cardiopalma. Trattandosi comunque del principale partito di maggioranza in Parlamento l'effetto dello shock sarebbe comunque di portata massiccia. Tanto più che, in questo caso, a reclamare dati alla mano un ben maggiore peso specifico nel governo, in termini di indirizzo ma probabilmente anche di ministeri, sarebbe il Pd. E un M5S senza leader né linea, in fase di disgregazione, dovrebbe fronteggiare l'offensiva ' unitaria' del Pd, coadiuvato dalla corrente interna ai 5S che mira al centrosinistra oganico.

Non sarebbe in nessun caso un gioco. Lo sarà tanto meno perché la partita di Di Maio è ancora oscura. Il discorso o dell'addio, o forse dell'arrivederci, non era di quelli che alludessero a una resa. La tempistica lo è anche di meno. Quattro giorni in più e il nome di Gigi Di Maio sarebbe stato indissolubilmente legato all'esito comunque negativo della prova di domenica.

Il ministro degli Esteri si è sfilato in tempo, lanciando siluri contro il dissenso interno, del tutto consapevole di quanto difficile, e forse impossibile, sia per il Movimento sostituirlo senza piombare nel caos. I tempi lunghi, anzi lunghissimi, decisi per la scelta del successore lo aiutano. Gli Stati generali, infatti, si limiteranno a fissare le regole. La scelta del nuovo leader arriverà più tardi, nel pieno dello psicodramma da imminente e temuto ciclo di regionali della primavera. Di Maio, contrario sin dall'inizio all'alleanza con il Pd, avrà parecchie carte vincenti da giocare per imporsi come successore di se stesso. Stavolta senza più un Beppe Grillo a dettargli la linea.

Che il Pd vinca o perda in Emilia ' ripartire', dalla settimana prossima, sarà un'impresa. Difficile se sarà eletto Bonaccini. Impossibile se passerà Lucia Borgonzoni.