La decisione della Corte costituzionale in tema di ammissibilità del referendum elettorale volto ad abolire la quota proporzionale dell’attuale sistema elettorale, così trasformandolo in un sistema interamente maggioritario a collegi uninominali, presenta motivi di particolare interesse e novità nell’ambito delle numerose decisioni in cui nel corso degli anni la Corte ha avuto occasione di pronunciarsi sui referendum elettorali.

Il presupposto da cui muove la Corte è che si tratta di leggi “la cui esistenza e vigenza è indispensabile per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali della Repubblica”, che “non possono essere esposti alla eventualità, anche soltanto teorica, di paralisi di funzionamento.

Ciò premesso, la costante giurisprudenza della Corte può essere sintetizzata nel principio che i referendum elettorali devono essere “intrinsecamente e inevitabilmente manipolativi”, nel senso che, proponendo l’abrogazione parziale di un più complesso sistema elettorale, debbono assicurare quale risultato finale che rimanga in vigore una disciplina auto- applicativa, cioè idonea a garantire in qualsiasi momento una consultazione elettorale degli organi costituzionali interessati dal referendum, nel caso di specie la Camera dei deputati e il Senato.

In altre parole, il referendum non può mai avere per oggetto una legge elettorale nella sua interezza, ma deve essere parziale, in modo che si possa sempre procedere a nuove elezioni, senza che sia necessario un ulteriore intervento del legislatore.

Al fine di adeguarsi alla giurisprudenza costituzionale che richiede l’auto- applicabilità della disciplina di risulta, il quesito referendario ha investito anche la delega conferita al Governo con la legge n. 51 del 2019 per la ridefinizione dei collegi elettorali a seguito della riforma costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari.

Ebbene, grazie al comunicato diffuso dall’ufficio stampa della Corte si evince che il referendum è stato dichiarato inammissibile per “l’eccessiva manipolatività del quesito referendario nella parte che riguarda la delega al Governo, cioè proprio nella parte che, secondo l’intenzione dei promotori, avrebbe consentito l’auto- applicabilità della normativa di risulta”.

Pare cioè di capire che i promotori del referendum abbiano ecceduto nel tentativo di rendere auto- applicabile la normativa di risulta, assumendosi compiti, quali la ridefinizione dei collegi elettorali, che non rientrano tra quelli realizzabili mediante lo strumento del referendum abrogativo, ma richiedono per la loro complessità e il relativo tecnicismo l’intervento del legislatore ordinario e le garanzie che si accompagnano all’attività legislativa.

Sotto questo punto di vista, al di là del caso di specie la decisione della Corte assume particolare importanza perché presumibilmente detterà principi generali volti a regolare i rapporti e i limiti tra le iniziative legislative che possono essere affidate alla diretta volontà popolare espressa attraverso lo strumento referendario e quelle che richiedono il più garantito e meditato intervento dell’ordinario procedimento legislativo davanti agli organi rappresentativi della Camera e del Senato.

Attendiamo quindi con particolare interesse la motivazione della sentenza della Corte, che avrà certamente una non trascurabile portata politico- istituzionale nel definire i rapporti tra l’espressione diretta della volontà popolare e il tradizionale sistema costituzionale della democrazia parlamentare.