Sono ritornati in servizio i quattro agenti sospesi dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria su ordine del Gip, perché accusati di aver commesso episodi di maltrattamento nei confronti di un detenuto straniero avvenuti nella Casa circondariale di San Gimignano. La misura interdittiva è scaduta il 13 gennaio scorso e sono rientrati in servizio non essendo stata chiesta la prosecuzione.

Da ricordare che sono indagati in tutto 15 agenti penitenziari non solo per il reato di tortura ( 613 bis) e lesioni personali, ma anche falso ideologico, visto che i filmati della videosorveglianza hanno svelato che il loro racconto non combacerebbe con la realtà dei fatti. Come aveva riportato in esclusiva da Il Dubbio il 23 novembre del 2018, c’è stata la lettera di denuncia indirizzata a Sandra Berardi, presidente dell’associazione Yairaiha Onlus, da parte di un detenuto che sarebbe stato spettatore del presunto pestaggio nei confronti dell’extracomunitario.

Addirittura lo scrivente ha riferito di essere stato aggredito da un agente penitenziario per aver protestato contro il presunto pestaggio. Gli stessi inquirenti, confermando l’accaduto, scrivono che quando venne riaccompagnato in cella, il detenuto cadde e un assistente capo di 120 chili gli salì addosso con le ginocchia mentre un altro lo stringeva per un braccio e un terzo lo afferrava per il collo.

L’altra conferma, come riportato sempre dal nostro giornale il 7 dicembre del 2018, è arrivata dalla Asl che, una volta ricevuto i referti compilati dal medico di turno, ai sensi dell’art 331 cpp, ha trasmesso la notizia di reato alla competente Procura per le indagini. La dottoressa, per aver fatto il suo dovere, avrebbe ricevuto delle intimidazioni come ha chiarito Emilio Santoro dell’associazione l’Altro diritto e riportato nero su bianco anche dagli inquirenti. Un ruolo, il suo, non così scontato. Non sempre i medici denunciano.

«Ma non per omertà – aveva spiegato in conferenza stampa il Garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma-, ma perché sono figure che cambiano spesso e quindi sono portate a ridimensionare alcuni referti» .

Parliamo di un carcere - come riferito dal garante regionale Franco Corleone - costruito in aperta campagna, lontano da tutti e tutto, dove gli stessi familiari dei detenuti che provengono da regioni diverse sono costretti ad organizzarsi con un pullman. Un carcere che ha cambiato spesso il direttore, perché nessuno auspica di andarci, con la conseguenza – come ha sottolineato sempre Corleone - che «alla fine il potere diventa, di fatto, autogestito all’interno del carcere».