Il conflitto civile in Libia sta diventando sempre più simile ad un pantano nel quale, al momento, nessuno sembra avere la chiave per volta per uscirne. Il protagonismo turco ( con l'invio di un contingente militare a sostegno di al Serraj) e quello di Mosca, schierata più o meno esplicitamente con Khalifa Haftar, hanno fatto pensare in realtà ad una possibile svolta. Russia e Turchia infatti hanno promosso una tregua che dovrebbe entrare in vigore domenica prossima.

Il governo di Tripoli ha subito accettato, il generale padrone della Cirenaica ha invece declinato la proposta e, se possibile, rilanciato la sua offensiva militare con ancora più forza.

La conferma è arrivata ieri con la notizia della morte di tre soldati turchi( altri sei sono rimasti feriti) nei pressi di Mitiga. I corpi sono stati portati all’aeroporto di Misurata per essere rimpatriati, mentre i feriti sono stati trasferiti all’ospedale di Nalut, 270 km a ovest di Tripoli.

Si tratta dei primi caduti di Ankara, un avvenimento che non può che allontanare la possibilità di una tregua durevole.

Tanto più che gli uomini di Haftar dopo aver tentato, all'inizio di questa settimana, l'assalto allo snodo strategico di Sirte ingaggiando duri scontri con le milizie fedeli al governo di Serraj, due giorni fa hanno cominciato a minacciare da vicino Misurata. Contemporaneamente sono proseguiti i bombardamenti sull'aeroporto di Mitiga tanto che a Tripoli si entra solo per via terra. E la capitale è oggetto di bombardamenti giornalieri.

Le pressioni diplomatiche in ogni caso si stanno intensificando, l'Unione Europea appare abbastanza impotente, fallita la missione in Libia per ovvia impraticabilità, ha tentato, venerdì scorso, con un minivertice a quattro ( Italia, Francia, Germania e Regno Unito) di rilanciare la sua azione.

Ma i paesi europei sembrano comunque procedere in ordine sparso incapaci di tracciare una linea comune, mentre il segretario generale della Nato Stoltemberg, rispondendo alle richieste del presidente Usa Donald Trump, fa sapere che «è ancora presto per un coinvolgimento diretto dell’Alleanza atlantica nella regione».

Se la Germania sta tentando di costruire faticosamente la conferenza di Berlino per la fine di Gennaio, è l'Italia a dover assumere per storia e per vicinanza geografica un ruolo più incisivo di quanto fatto fino ad ora.

In tal senso il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha toccato praticamente tutte le capitali del nordafrica dopo aver tenuto colloqui al Cairo e Ankara.

Il risultato non è andato comunque oltre a una collezione di dichiarazioni d'intenti.

Esiste però un doppio binario ed è quello costruito dal premier Conte. L' 8 gennaio ha ricevuto al palazzo Chigi il generale Haftar, in attesa di incontrare nella stessa giornata Serraj. Quest'ultimo però ha rinunciato al viaggio a Roma indispettito per la precedenza data all'uomo forte della Cirenaica.

Un errore marchiano rilevato da più parti che ha fatto saltare una possibile mediazione da parte del nostro paese.

Una vecchia volpe della politica come Pierferdinando Casini non ha lesinato critiche all’approssimazione diplomatica del governo: «Questi appuntamenti vanno gestiti nell'assoluto riserbo … Lo strombazzamento ha irritato Serraj e la coalizione che lo sostiene» . Conte forse era alla ricerca di un colpo mediatico utile più a uso interno, ciò la dice lunga sulla compattezza del governo anche in politica estera che ormai appare in mano ad altri attori.

A cominciare dai servizi di intelligence che già da tempo stanno avendo colloqui con Aref Ali Nayed, inviato speciale del governo della Cirenaica.

Senza contare il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese che ha già in programma un appuntamento con Fathi Bishaga, suo omologo di Tripoli. Nelle ultime ore si fa strada anche la possibilità che Marco Minniti possa diventare l'inviato della Ue in Libia, una scelta che dovrà compiere l'Italia e che potrebbe diventare nuovo motivo di scontro nella maggioranza.