«Lo stop della prescrizione fatta in questo modo non serve a nulla». Abituato a giudizi trancianti, l'ex procuratore nazionale antimafia e oggi eurodeputato del Pd, Franco Roberti, indica una priorità impellente: «La riforma coraggiosa del processo penale».

Lo stop entra in vigore dal 1 gennaio. Lei è contrario?

La riforma Bonafede non mi piace e non mi è mai piaciuta.

La sospensione della prescrizione potrebbe essere accettabile ma solo per chi è stato condannato in primo grado, mentre certamente non per gli assolti, che hanno diritto a vedersi subito fissato l'appello. Il punto vero, però, è un altro: in assenza di una vera riforma del processo penale, lo stop alla prescrizione non farà altro che dilatare la durata dei giudizi, in barba al principio della ragionevole durata del processo prevista dalla Costituzione.

La prescrizione, dunque, dovrebbe continuare ad essere prevista come valvola del processo penale?

Partiamo da un dato: se la giustizia funzionasse, la prescrizione non sarebbe affatto un problema e, anzi, non dovrebbe mai scattare. La norma nasce come presunzione: che il decorso del tempo e l’inerzia dello Stato facciano comportino il disinteresse del sistema a perseguire quel reato, che dunque muore. Oggi, però, rappresenta anche una garanzia per gli imputati, che hanno diritto a una celebrazione rapida dei processi. Il problema, però, sta qui: fatta eccezione per il doppio binario previsto per i reati di mafia, il processo penale non funziona e la prescrizione è il segnale di questa inefficienza.

Perchè il processo non funziona?

Perchè mancano strutture e regole organizzative. Servirebbero interventi drastici, ma anche controlli efficaci sulla professionalità dei magistrati: per il ritardo nel deposito delle sentenze, per esempio, ma anche sui dirigenti degli uffici. In una parola, servono investimenti, perchè solo così si consente alla magistratura di esercitare in pieno la sua indipendenza.

In che senso?

In un sistema giudiziario inefficiente, i magistrati esercitano meno la loro indipendenza, che è presidio e garanzia dell’uguaglianza dei cittadini. Io credo però che proprio questa indipendenza, in Italia, piaccia a pochi e, anzi, in molti temano questa prospettiva: pensi a che cosa potrebbe fare, in un paese come il nostro, una magistratura efficiente e indipendente. Per questo non sono mai stati dati alla magistratura gli strumenti organizzativi e normativi per esercitare l’autonomia e l’indipendenza sancite dalla Costituzione.

E come si rende efficiente il processo penale?

Io penso a una riforma radicale: abolizione totale dell’appello per i processi definiti in primo grado in dibattimento. In questo caso, infatti, la prova si forma nel dibattimento e con tutte le garanzie per la difesa, dunque non ha senso replicare lo stesso processo in appello. L’appello, invece, rimarrebbe solo per i processi svolti con riti alternativi e in particolare nel caso di giudizio abbreviato, in cui la prova si forma sugli atti di indagine. In questo modo, inoltre, ci sarebbe un incentivo per i difensori al ricorso ai riti alternativi e al dibattimento arriverebbe al massimo il 10% dei processi. Non solo, per evitare l’imbuto del secondo grado il giudice monocratico andrebbe previsto anche in appello, eliminando dunque il collegio. Da ultimo, per deflazionare anche la Cassazione, il giudizio cassatorio a metà tra il merito e la legittimità andrebbe riservato alla Corte d’Appello.

Ma così non si riducono le garanzie?

No, perchè l’imputato è perfettamente garantito dal processo dibattimentale di primo grado. Ma non si può pensare di deflazionare il sistema, se si duplica il giudizio di merito.

Invece di eliminare l’appello, si potrebbe abolire l’obbligatorietà dell’azione penale.

No, perchè l’obbligatorietà dell’azione penale è presidio del principio di uguaglianza e i costituenti l’hanno prevista perchè temevano la discrezionalità del pm. Se la si eliminasse, si attribuirebbe al pm la funzione politica di scegliere quali reati perseguire, dunque dovrebbe essere dipendente dall’esecutivo. Ecco, io preferisco conservare l’indipendenza della magistratura ed inserire un filtro di ammissibilità dell’appello, proprio perchè l’obbligatorietà dell’azione penale immette nel sistema un numero di processi esorbitante.

Come giudica, oggi, il rapporto così teso tra politica e magistratura?

Andrebbe trovato un equilibrio. Per molto tempo, la politica ha delegato alla magistratura le scelte, assegnandole di fatto maggiori spazi di intervento discrezionale, salvo poi attaccare la categoria. Questo ha prodotto la tensione, che non si risolve certo con un passo indietro di tutti ma con il reciproco rispetto nell’esercizio dei rispettivi ruoli.

Lei è favorevole alla depenalizzazione di alcuni reati?

Sì, è un’altra delle riforme necessarie, insieme alla riforma del sistema delle notificazioni. E’ impensabile nel 2020 che si continuino a mandare in giro gli ufficiali giudiziari.

Ha parlato più volte anche di depenalizzazione delle droghe leggere...

Sì, ma continua a incontrare pregiudiziali ideologiche. Invece, bisogna accettare che il contrasto alle droghe non funziona e anzi il consumo è in aumento. Per questo, il mercato dovrebbe essere nelle mani pubbliche: questo renderebbe il prodotto più controllato, toglierebbe ampi spazi di mercato alla criminalità organizzata e darebbe profitto allo Stato.