Annunciato con squillar di trombe. Invocato da tutti e da ciascuno. Atteso con trepidazione e qualche timore. Gennaio doveva essere il punto di svolta, il mese della ' verifica', il momento di un ' cronoprogramma' da definire con minuzia e poi da seguire con tassativa disciplina, l'ora agognata della ' ripartenza' dopo la falsa partenza di settembre. Falso allarme. Si ripongano trombe e tamburi. Tutto rinviato a fine mese. Se ne riparla a febbraio. Se tutto va bene.

La politica italiana è in letargo. O meglio nel congelatore. L'intero pacchetto verifica- agenda- nuova partenza resterà in sonno fino al 26 gennaio. Aspettiamo l'Emilia. I nodi irrisolti nella vicenda Ilva, esuberi e scudo penale, si sbroglieranno, semmai, nell'ultima settimana di gennaio. Dopo l'Emilia. L'accordo sulla legge elettorale latita, anche se il verdetto della Consulta sul quesito leghista, probabilmente già il 15 gennaio, si avvicina e senza una proposta depositata le chances che il quesito leghista sia ammesso aumentano.

Vorrà dire che si aspetterà, salvo sprint improvviso quella sentenza e a quel punto tanto varrà attendere l'Emilia. Ci sono è vero un paio di problemini che rischiano di non poter essere rinviati: il nodo delle concessioni autostradali e la prescrizione. Proprio per oggi è attesa la proposta di Conte sulla prescrizione e la mediazione a occhio nudo sembra quasi impossibile. Ma se il coniglio tirato fuori dal cilindro del mago- premier smuoverà anche di poco le acque si troverà modo di trattare. Fino a elezioni in Emilia celebrate.

La politica internazionale, specialmente in Medio Oriente, come dire sotto casa, invece ignora la scadenza emiliana. Guaio grosso perché, sul fronte libico ancor più che su quello iraniano, l'immobilismo dell'Italia rischia di rivelarsi devastante. In questi casi la soluzione per il governo italiano è quasi di default: mettere tutto nelle mani del premier, che ieri ha incontrato sia Haftar che Sarraj e che a sua volta si è messo nelle mani della Ue. Solo che sin qui Bruxelles è rimasta inerte e al momento non pare in grado di superare le divisioni interne e dunque di assumere qualsivoglia iniziativa.

Intorno al voto del 26 gennaio si è così creata un'aspettativa che va oltre le dimensioni, pur davvero molto importanti, della scadenza. Una specie di ' giudizio di dio', un'ordalia medievale, dalla quale, se il Pd uscirà sconfitto, verrà a questo punto inevitabilmente travolto il governo. Il problema è che si tratta di un'ordalia a senso unico. Se Bonaccini prevarrà di misura, infatti, il governo sarà per il momento salvo, ma in condizioni di precarietà permanente che non possono essere risolte da poche migliaia di voti n più o in meno sulla piazza emiliana e con l'incognita di altre sei elezioni regionali dietro l'angolo.

Governo e maggioranza, insomma, hanno scelto di misurarsi con il test essenziale per la sorte della legislatura del voto emiliano seguendo ls medesima logica ' rovesciata' che ha presieduto alla nascita del governo. Invece di puntare su una credibile azione di governo per vincere una sfida locale che però ha assunto i caratteri di un test sul governo nazionale, sperare in una vittoria di misura in quelle urne per ricavarne l'energia necessaria a ripartire.

Con la differenza che al momento della nascita del governo non c'era alternativa, non essendo possibile dar vita a una vera coalizione di governo e a un relativo programma prima di decidere se impegnarsi o no. In questo caso, invece, il tempo, sia pur limitato, ci sarebbe stato. Se non si limita l'analisi a una questione di ' testa o croce', la decisione di congelare l'azione di governo in attesa delle elezioni in Emilia è di per sé una sconfitta politica.

Dopo quel voto, nella situazione data, i ritmi lentissimi di oggi subiranno d'improvviso l'accelerazione estrema delle antiche comiche finali. Se il Pd sarà stato sconfitto si tratterà di una corsa verso lo scioglimento della legislatura, che la maggioranza tenterà tuttavia di frenare in ogni modo. Se Bonaccini prevarrà, sarà invece il tentativo frenetico di sedimentare una vera maggioranza in tempo per metterla in campo nelle prove regionali della primavera, anche a rischio di far emergere divisioni invece insanabili all'interno della maggioranza stessa. Nell'uno come nell'altro caso, i rischi di crisi saranno massimi.