Semplificare il processo: proposito divenuto la costante di ogni riforma della giustizia. Non sfugge all’idea dell’efficienza in cambio della “sublimazione” il premier Giuseppe Conte, a proposito della giustizia tributaria. «Chi ha una pendenza non può rimanere dieci anni bloccato per una cartella esattoriale», è la sua condivisibile premessa. Ma la strada per arrivare al risultato, la più a portata di mano, è secondo il Capo del governo «la eliminazione di un grado di giudizio». La frase che Conte ha pronunciato nella conferenza stampa di fine anno ha già innescato una catena di reazioni, innanzitutto da parte dell’Uncat, l’Unione Camere avvocati tributaristi, e dei commercialisti. Ieri è intervenuta la massima istituzione forense, il Cnf, che ha indicato una strada molto chiara, basata su un principio: la tutela del contribuente, dei suoi diritti. «I tre gradi di giudizio del processo tributario sono una garanzia sperimentata», è la premessa da cui parte il Consiglio nazionale forense. Una garanzia che oltretutto «è radicata in tutte le diverse forme di giurisdizione del nostro sistema ordinamentale». Pro memoria non casuale, che rimanda a un’idea più volte sostenuta dal presidente del Cnf Andrea Mascherin: la necessità di preservare il sistema processuale italiano, per quanto oneroso possa sembrare, giacché il confronto con altri ordinamenti, per esempio quello statunitense, può facilmente mostrare a quali rischi il cittadino sia esposto se si semplifica in nome dell’efficienza. Nella nota diffusa ieri a proposito di un processo tributario eventualmente privato del giudizio di legittimità, l’istituzione dell’avvocatura prosegue: «Anche se occorrerà esaminare l’articolato della proposta, che allo stato non è conosciuto, il Cnf intende proseguire nel percorso già intrapreso con le altre componenti per elaborare una proposta di riforma che coniughi efficienza e qualità del processo, secondo i principi costituzionali». E se si vuol essere ossequiosi del dettato costituzionale, non si può fare a meno della Cassazione. Ma il Consiglio nazionale forense guarda appunto a un altro modello di riforma, capace di «consentire al contribuente maggiori mezzi di prova a fronte della attuale disparità esistente nel rapporto con l’amministrazione finanziaria, che si avvale di presunzioni di difficile prova contraria». Si tratta dunque di rafforzare l’articolazione del processo, di ampliarne le garanzie e non di comprimerle, come avverrebbe in ogni caso con la soppressione di un grado di giudizio, sia che si tratti della Cassazione sia se sparisse l’appello. La via maestra, secondo gli avvocati, deve essere tracciata invece a partire da «terzietà, competenza e professionalità della giurisdizione», che «andranno salvaguardate e rafforzate così come il diritto di difesa del contribuente, in qualsiasi riforma del processo tributario».

E qui è evidente la sintonia con la rappresentanza specialistica dell’avvocatura, l’Uncat appunto, che nei giorni scorsi ha messo al primo posto la «professionalità e il tempo pieno dei giudici», oltre al «giusto processo», che sarebbe menomato dalla riduzione dei gradi di giudizio. Sullo sfondo c’è la necessità di credere nella giustizia tributaria come luogo elettivo di tutela del cittadino nei confronti dell’amministrazione. Presupposto alla necessità di «stanziare risorse», evocata in questi giorni da Antonio Leone, che guida il Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria.

Semplificare non può sottrarre lo Stato al dovere di impegnare fondi sulla materia. Leone è il primo a chiedere di rovesciare la gerarchia delle priorità, e non a caso il prossimo 30 gennaio il Cnf tornerà al tavolo, istituto presso il Mef, per definire un modello condiviso di riforma tributaria proprio con Leone, l’Uncat, la magistratura e le rappresentanze delle altre professioni.

A condizionare il percorso riformatore sarà inevitabilmente anche la proposta avanzata a fine ottobre dal Consiglio di presidenza della Corte dei Conti: trasferire il contenzioso dalle Commissioni tributarie proprio alla giurisdizione contabile. Già due mesi fa, di fronte a quell’ipotesi, il presidente del Cnf Mascherin aveva fissato un paletto: «Qualsiasi soluzione deve garantire, in ogni grado, il pieno contraddittorio e la tutela dei diritti del contribuente». Vuol dire appunto modificare lo schema vigente in cui meri indizi a disposizione del Fisco diventano, nel processo, prove contro il cittadino. Quanto una simile rivoluzione sia compatibile con l’accentramento delle competenze nella Corte dei Conti, che già tutela lo Stato dai danni erariali, è difficile dirlo. Di sicuro la totalità della magistratura associata, due mesi fa, ha bocciato l’idea. È altrettanto chiaro, a maggior ragione dopo la nota di ieri, come prima di ogni altro intervento l’avvocatura pretenda che la nuova giustizia tributaria riporti l’equilibrio fra Stato e contribuente.