Le dimissioni del ministro dell'Istruzione Fioramonti non sono state un fulmine a ciel sereno. Erano annunciate per subito dopo il varo della legge di bilancio già da giorni e in sé, pur non essendo certo una buona notizia per un governo già molto fragile, non rappresentano neppure un colpo micidiale. Molto più pericolose, per la stabilità dell'esecutivo, sono le scelte che Fioramonti si appresta a fare. Il ministro dimissionario proverà ancora ad assumere la guida del non esiguo drappello di deputati 5S, una trentina, già pronti ad autonomizzarsi per dar vita a una corrente, o forse a un vero e proprio gruppo, a sostegno del premier Conte. Il quale ha già rifiutato.

Qualsiasi delle due strade scelgano di imboccare l'esito sarà opposto alle buone intenzioni. Una corrente accelererebbe la balcanizzazione del M5S, con effetti certo non salutari sulla compattezza della maggioranza. La nascita di un nuovo gruppo però porterebbe a risultati ancor più dannosi. I già travagliati vertici di maggioranza conterebbero infatti una voce in più, ed è facile prevedere che i vertici notturni, già tempestosi, diventerebbero ancor più travagliati. Inoltre la mossa dei deputati contiani spingerebbe l'ala filo leghista dei senatori 5S ad accelerare il passo.

Sarebbe un problema comunque. Lo è a maggior ragione perché il mese di gennaio, atteso da Conte e dal Pd con aspettative vagamente messianiche, promette invece di essere tra i più difficili: la prova dalla quale si capirà se la maggioranza giallorosa ha chances di sopravvivenza. Le elezioni in Emilia- Romagna e in Calabria il 26 gennaio e il voto della giunta del Senato sull'autorizzazione a procedere contro Salvini del 20 sono solo i due passaggi finali di un'agenda da brivido. Prima di tutto ci sono infatti i dossier ancora aperti, e sono parecchi.

I due temi più incandescenti sono la prescrizione e le concessioni autostradali. Sul primo tema l'accordo tra Pd e M5S, a pochi giorni dall'entrata in vigore automatica della riforma Bonafede, ancora non c'è. Il 27 dicembre il Pd dovrebbe mettere sul tavolo la sua proposta, un ritorno alla riforma Orlando però irrigidita dal prolungamento del blocco della prescrizione sia in appello che in Cassazione. Bonafede e Di Maio insistono per confermare in toto il testo attuale.

La Iv di Renzi ha già votato contro la maggioranza alla Camera ed è decisa a insistere, come anche sulle autostrade. Iv ha messo agli atti il suo dissenso sull'art. 33 del Milleproproghe, quello che modifica radicalmente il quadro in caso di revoca delle concessioni. E' un passo che di solito prelude al voto contrario in aula, e al Senato i renziani sono determinanti. Come se non bastasse, su altre due questioni centrali, Ilva e autonomie, la maggioranza è lacerata.

Poi, a metà mese, si aprirà il capitolo referendum. Salvo ripensamenti di qualcuno dei 64 senatori che hanno firmato la richiesta, il 12 gennaio verrà indetto il referendum sulla riforma costituzionale. Ci saranno dunque sei mesi di tempo per abbattere la legislatura e aprire le urne prima del taglio dei parlamentari. La tentazione è forte per tutti.

Ma il referendum costituzionale potrebbe incidere anche sulla sentenza della Consulta sul referendum elettorale chiesto dalle regioni a guida leghista, con l'obiettivo di cancellare dall'attuale legge elettorale la quota proporzionale per passare a un maggioritario puro. La contemporaneità con il referendum costituzionale, attenuerebbe molto, e secondo alcuni cancellerebbe, il principale ostacolo all'ammissibilità del quesito leghista, il rischio cioè di trovarsi in una situazione di vacatio legis, non essendo il test della Lega autoapplicativo.

Il Paese si troverebbe quindi senza una legge elettorale pronta in caso di scioglimento della legislatura improvviso. L'obbligo di riorganizzare tutto derivato dalla riforma costituzionale, e la contemporaneità tra le due esigenze derivante dal referendum costituzionale, limiterebbero il danno: le regole e i collegi o le circoscrizioni andrebbero infatti ridisegnate comunque. Per questo, secondo alcune voci, la Corte costituzionale sarebbe orientata, a sorpresa, ad approvare il quesito di Salvini e Calderoli quando, intorno al 15 gennaio, sarà chiamata a decidere.

Sarebbe una bomba tra le più deflagranti. La discussione in corso sulla nuova legge elettorale riguarda infatti solo diversi modelli di proporzionale, temperati da soglie di sbarramento alto o da quote maggioritarie. Comunque modelli non in grado di bloccare il referendum, non andando nella direzione maggioritaria indicata dal quesito. La maggioranza farà il possibile per depositare entro il 15 gennaio il suo progetto di legge, con l'intesa di continuare a trattare per cambiarlo in Parlamento, nella speranza che il passo abbia funzione deterrente sulla sentenza della Consulta.

Non è detto che ce la maggioranza faccia in tempo e neppure che ciò basti a garantire l'inammissibilità del referendum leghista. Se quest'ultimo fosse ammesso per il Pd si aprirebbero prospettive da incubo. Con il numero dei parlamentari diminuito di un terzo e un maggioritario secco, il rischio di portare in Parlamento una pattuglia molto esigua sarebbe concreto e l'idea sciogliere la legislatura prima della celebrazione dei due referendum diventerebbe molto più che allettante.