«Se la Repubblica islamica decide di combattere, lo farà in modo inequivocabile. Non cerchiamo le guerre, ma difendiamo con forza gli interessi, la dignità e la gloria della nazione iraniana. Se qualcuno li minaccia, ci confronteremo senza esitazione e lo colpiremo». La guida suprema iraniana Alì Khamenei ieri non ha usato mezzi termini per rispondere alle minacce lanciate da Washington all'indomani dell'assalto contro la rappresentanza dil plomatica a Baghdad.

Martedì scorso infatti una folla inferocita ha attaccato l'ambasciata statunitense facendo irruzione nel complesso, ne è seguita una battaglia di strada tra manifestanti e i marines di guardia insieme ad agenti iracheni che hanno fatto uso massiccio di lacrimogeni, alla fine in serata si sono contate almeno una cinquantina di persone ricoverate negli ospedali della capitale irachena dopo aver respirato i gas. All'interno della struttura diplomatica non c'era l'ambasciatore Matthew Tueller che sarebbe stato lontano per via di una vacanza già programmata.

Donald Trump aveva subito lanciato i suoi strali: «L'Iran sarà ritenuto pienamente responsabile delle vite perse o dei danni subiti in qualsiasi delle nostre strutture Pagheranno un prezzo salato! - ha tuonato - Questo non è un avvertimento, è una minaccia. Felice anno nuovo!». In aggiunta sono stati inviati 750 marines di stanza in Kuwait che si sono aggiunti ai 5mila soldati già presenti in Iraq.

Lo scontro con il regime degli Ayatollah dunque sembra avviarsi sulla strada di una pericolosa escalation, Trump infatti ritiene responsabile l'Iran della crisi che ha subito un'accelerazione la settimana scorsa. Venerdì 27 infatti alcuni missili sono caduti sulla basa Usa di Kirkuk provocando la morte di un civile statunitense.

La casa Bianca ha ordinato una ritorsione domenica sera bombardando le postazioni di una fazione filo iraniana, le brigate Katab Hezbollah. Gli arei Usa hanno ucciso almeno 25 combattenti, al termine dei loro funerali dunque il tentativo di invadere l'ambasciata statunitense. L'attacco però ha suscitato le reazioni indignate dei vertici dello stato iracheno che ha giudicato l'avvenimento una violazione del proprio territorio.

Il segretario di Stato Mike Pompeo ha in ogni caso addossato le colpe dell'assalto all'ambasciata a elementi filo iraniani, se non direttamente manovrati da Teheran. Per il responsabile Esteri Usa si tratterebbe dei terroristi «Abu Mahdi al- Muhandis e Qais al- Khazali, sostenuti dagli alleati iraniani, Hadi al- Amari e Faleh al- Fayyad. Sono stati tutti fotografati davanti alla nostra ambasciata» . Si tratta ora di attendere le prossime mosse e se lo scontro, per ora a colpi di tweet, porterà a conseguenze peggiori.

Per il momento in Iraq è in atto una guerra a bassa intensità per conto terzi che in realtà coinvolge tutta l'area mediorientale, dallo Yemen alla Siria. Forse un intervento diretto degli Stati Uniti non è alle porte e potrebbe essere più una mossa politica ad uso interno in vista delle prossime elezioni per la Casa Bianca. Parallelamente anche il regime degli Ayatollah non sta vivendo un periodo di popolarità, come dimostrano le proteste dei mesi scorsi, alzare la tensione dunque potrebbe convenire ad entrambi.