Al Nazareno sfila compatta la cabina di regia dem per la giustizia. Unico grande assente, l'ex ministro Andrea Orlando, che tuttavia è stato mente e penna nella redazione della proposta di legge.

Finalmente, dopo gli annunci, il Partito Democratico ha presentato la sua proposta di legge di modifica alla prescrizione, per come entrerà in vigore con la norma Bonafede il 1 gennaio. Il testo, rimasto blindato e top secret fino ad oggi, consta di un solo articolo che recita: ' Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna, per un periodo di due anni, quando è proposto appello o è presentata opposizione, aumentato di ulteriori sei mesi se nel giudizio di appello è disposta la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale o se in quello successivo all'opposizione si verifica una ulteriore causa di sospensione. Esso è altresì sospeso, per un periodo di un anno, dalla pronuncia della sentenza nei cui confronti è proposto ricorso per Cassazione.

Decorsi gli indicati periodi di sospensione, la prescrizione riprende il suo corso se non è stata pronunciata la sentenza conclusiva del grado'. In sintesi: la prescrizione non viene più sospesa dopo il primo grado, ma subisce due stop, il primo - di durata fino a 2 anni e sei mesi - dopo il primo grado in caso di appello; il secondo di un anno dopo l'appello in caso di ricorso in cassazione. «n questo modo possiamo assicurare che nessun processo andrà più in prescrizione», chiosa il primo firmatario alla Camera, il capogruppo in commissione Giustizia Alfredo Bazoli. Lanciato il sasso, però, arriva un mezzo passo indietro: l’obiettivo, ha spiegato Bazoli è quello di «cercare di offrire una possibile via d’uscita» alla maggioranza, perchè «La nostra proposta di legge è la soluzione tecnicamente migliore, ma ne esistono anche altre per ottenere il risultato che ha sempre ripetuto il ministro e che noi condividiamo di dare giustizia rapida e certa ai cittadini». E in quel «ne esistono anche altre» c’è la mano tesa a Bonafede: «Questa proposta ci consente una discussione all’interno della maggioranza senza equivoci, ha spiegato il capogruppo del Pd in commissione Giustizia al Senato, Franco Mirabelli lasciando intendere quello che poi esplicita Walter Verini: «abbiamo depositato un disegno di legge che noi non vorremmo utilizzare», perchè «Il nostro auspicio che la sintesi venga fatta dal Guardasigilli, che non può non tener conto di tre quarti della maggioranza e di tutte le forze che all’esterno del Parlamento hanno fatto sentire la loro voce». Insomma, se Bonafede è pronto ad addolcire la sua norma baluardo, il Pd è pronto a mettere nel cassetto il suo testo. La domanda, però, ora riguarda i tempi e anche su questo i dem non vogliono cercare strappi ponendo ultimatum. «Nessuna data fissa, nessun paletto», assicura Walter Verini, ma «la legalità e la giustizia devono essere argomento centrale dell'Agenda 2020, senza totem e tabù» e «non si può aspettare all’infinito».

Il calendario, però, in Parlamento conta. Ieri è stata depositata la proposta di legge targata Pd sia alla Camera che al Senato, il 7 è previsto il vertice di maggioranza convocato dal ministro Bonafede, in cui i dem si aspettano risposte e aperture sulla prescrizione.

La stella, però, potrebbe essere già avversa: da un lato del tavolo ci dovrebbero essere i renziani, ma il condizionale è d'obbligo perchè Italia Viva ha minacciato di ritirare la sua delegazione senza aperture da parte di Bonafede. L' 8 gennaio, poi, scadranno i termini per gli emendamenti al ddl Costa che abroga la prescrizione, mentre il voto alla Camera è atteso il 10. Fosse sostenuto solo dalle opposizioni sarebbe una tappa trascurabile, ma lunedì notte Italia Viva ha votato a favore ( in disaccordo col Governo) proprio un ordine del giorno di Costa contro la norma Bonafede.

Un segnale politico forte, che rende ancora più nevralgico l'appuntamento del 7 gennaio, che sarà uno spartiacque per due ordini di ragioni. Una tutta politica: il Pd ha mostrato la sua faccia conciliante nel definire il suo disegno di legge una sorta di extrema ratio, se il ministro Bonafede non volesse aprire il dialogo per cambiare la prescrizione in modo condiviso con i nuovi alleati di governo. Una pistola per ora tenuta sotto il cuscino, ma pur sempre carica.

La seconda, invece, è di tattica parlamentare: se dal vertice si uscisse con un nulla di fatto, ci sarebbe ancora il tempo, il giorno dopo, per presentare emendamenti alla legge Costa e i renziani potrebbero cedere alla diabolica tentazione di proporre un emendamento identico alla proposta di legge del Pd. Proprio in questa direzione spingono gli stessi forzisti: «Quelli del Pd prima respingono più volte la nostra proposta, poi presentano un testo con un’unica differenza in sei mesi di sospensione in più dopo il primo grado e sei mesi in meno dopo l’appello», ha commentato Costa, che ha aggiunto sibillino: «Se l’ 8 gennaio venisse presentato un emendamento alla proposta di Forza Italia, contenente questo testo del Pd, lo voteremmo in un minuto». Messa in questi termini, l'interrogativo amletico sul da farsi sarebbe al Nazareno ( e a Palazzo Chigi, dove sarebbe il terremoto). Proprio questa è la domanda che pone polemicamente al Pd anche il presidente dell’Unione camere penali italiane, Gian Domenico Caiazza: «Chiederei ai deputati del Pd con quale maggioranza intendono vedere approvato il proprio disegno di legge. Se il ministro Bonafede non lo fa proprio, lo propongono comunque al voto del Parlamento anche accettando il voto dell’opposizione?». Pragmaticamente, il leader dei penalisti si attiene alle ultime dichiarazioni del Guardasigilli ( «Bonafede è stato categorico sull’immodificabilità della riforma» ) e manifesta tutto lo scettisimo rispetto a una proposta che gli stess dem dicono di non voler votare a tutti i costi: «È il senso dell’operazione politica che ci sfugge, non si sta dicendo che la maggioranza converge sulla proposta. È una cosa che il Pd vuole difendere fino in fondo? Se è solo un modo per nascondere imbarazzi, non ci interessa» In quest'ultima manciata di giorni, dunque, la riflessione spetta a Bonafede. Il ministro dovrà decidere se concedere la battaglia agli alleati, scendendo a patti invece di continuare con l'intransigenza fin qui dimostrata. Se lo facesse, il Pd sarebbe pronto a ritirare il suo disegno di legge per portarne avanti uno condiviso. Altrimenti, scatterebbe la guerriglia, in un Parlamento in cui tre quarti della maggioranza e tutta l'opposizione sono contrari alla norma Bonafede nella sua formulazione attuale. Eppure, lo stato d’animo del Pd è stato ben riassunto da Verini: se sulla prescrizione non si può transigere ( anche perchè al momento della sua approvazione ai tempi del governo gialloverde i dem avevano sollevato anche pregiudiziale di costituzionalità), è anche vero che «Vorremmo evitare che la giustizia continui ad essere terreno di scontro propagandistico: noi siamo contrari al giustizialismo estremista ma anche al garantismo a corrente alternata di Salvini e quello strumentale di Costa». Il che dovrebbe tranquillizzare Bonafede e Conte: «L’obiettivo non è far cadere il governo, anche perchè rischieremmo di farci tornare chi di garanzie non vuol proprio sentir parlare». Eppure l’epilogo rischia di finire in una sorta di dilemma del prigioniero: le scelte individuali dei giocatori, pur essendo tutte razionali, determinano un equilibrio di sistema ( di governo) inefficiente.