Tre anni di indagini, che all’ultimo minuto rischiavano di saltare a causa di una fuga di notizie che ha costretto la Dda di Catanzaro ad anticipare il blitz, mobilitando in poche ore 3mila uomini delle forze dell’ordine, costretti ad acciuffare una ventina di uomini già in fuga sulla tratta ferroviaria che dalla Calabria porta a Milano. È questo il retroscena dell’operazione “Rinascita- Scott”, per il procuratore Nicola Gratteri la più grande dopo quella che ha portato al maxi- processo in Sicilia: 334 misure cautelari e oltre 400 indagati.

Un’indagine che «conferma l’unitarietà della ‘ ndrangheta» e svela un universo di reati fine che vanno dall’omicidio al tentato omicidio, passando per estorsioni, violenza e minacce. L’inchiesta ha coinvolto nomi altisonanti della società civile e politica calabrese: dall’ex senatore di Forza Italia e noto penalista Giancarlo Pittelli a Gianluca Callipo, sindaco di Pizzo e volto giovane della politica calabrese, passando per il legale Francesco Stilo, noto per essere il difensore dell’uomo beccato alla frontiera con un assegno da 100 milioni e Giorgio Naselli, il comandante provinciale dei carabinieri di Teramo”.

L’indagine, diretta dai pm Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci, Andrea Mancuso, ha consentito di ricostruire assetti, gerarchie e affari di dieci locali di ‘ ndrangheta, facendo luce su quattro omicidi consumati e tre tentati, arrivando fino alle commistioni tra clan, politica e massoneria. «È una giornata storica, non solo per la Calabria - ha affermato Gratteri -. Questa indagine è nata il 16 maggio 2016, giorno in cui mi sono insediato. Per me era importante avere una strategia, un sogno, una rivoluzione. Questo è quello che ho pensato il giorno del mio insediamento: smontare la Calabria come un trenino Lego e rimontarla pian piano».

La fuga di notizie è iniziata dal momento in cui la misura cautelare è arrivata sulla scrivania del gip. «Avevamo paura - ha sottolineato -, perché i capi sapevano che l’operazione sarebbe scattata domani ( oggi, ndr)». Nel corso delle indagini, inoltre, è stato trovato un pizzino con appuntata, per la prima volta, la formula di conferimento del “trequartino”, una delle principali cariche di ‘ ndrangheta.

In carcere sono finiti boss e gregari del clan Mancuso di Limbadi, cosca potente quanto violenta, il cui vertice, Luigi Mancuso, è finito ieri in carcere. E tra gli arrestati anche il suo legale, l’ex parlamentare Pittelli, per il quale il giudizio del gip è impietoso: partendo dalla richiesta della procura, che contestava il concorso esterno, il giudice ha riqualificato il reato in 416 bis. «L'apporto dell'avvocato non è riducibile ad una partecipazione esterna - si legge nelle conclusioni del giudice -. La messa a disposizione del Pittelli nei confronti di Luigi Mancuso ( ma anche di altri esponenti della ‘ ndrangheta) è costante e sistematica e non legata a momenti particolari di fibrillazione o ad uno scambio di voto o ad un affare particolare».

Un apporto, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, che «non si è limitato alla incondizionata e costante messa a disposizione», ma nella condivisione delle «modalità di conduzione della cosca, aderendo alla ' politica gestionale' di Luigi Mancuso». Numerose le conversazioni in cui l'avvocato «elogia il Mancuso» per il suo carisma, «affermando in più di un’occasione che la sua presenza sul territorio ' da uomo libero' assicura gli equilibri e garantisce la pax mafiosa».

Non solo: per il giudice, Pittelli avrebbe «aderito ad un metodo», ma anche partecipato «all'attuazione degli obiettivi della cosca di ' ndrangheta» mettendo «a disposizione le sue conoscenze sparse in Italia e fuori dall'Italia onde consentire il radicamento e la forte penetrazione della ' ndrangheta in ogni settore della società civile: nelle università, negli ospedali più rinomati, all'interno degli stessi servizi segreti, nella politica, negli affari, nelle banche, così consentendo ai Mancuso di rafforzare il proprio potere criminale».

E tutto ciò avrebbe fatto ottenere un ritorno nel proprio interesse: dalle «nomine nei grossi processi, all'avanzamento in politica, all'ambizione di essere eletto membro laico del Consiglio Superiore della Magistratura, utilizzando la potenza criminale di Mancuso e degli altri boss e vertici di ‘ ndrangheta per i quali ( proprio in cambio di questo) spende le sue ' amicizie'». Insomma: Pittelli sarebbe «l'affarista massone dei boss della ' ndrangheta calabrese».

In più occasioni è stato monitorato mentre si recava nel nascondiglio di Mancuso durante la sua latitanza, «in luoghi isolati, praticando a piedi posti impervi, facendosi accompagnare da auto staffetta, potendo recarsi agli appuntamenti solo quando stabilito ' dal medico', con le modalità dallo stesso Mancuso impartite». Mancuso si rivolgeva a Pittelli perché aiutasse la figlia a superare un esame universitario, mettendo a disposizione la sua ' amicizia' con il Rettore dell'Università o per intercedere presso la Regione Calabria per il trasferimento di un direttore delle Poste legato ai Piromalli.

Per il gip, insomma, ci sarebbe un “pactum sceleris” in forza del quale «Pittelli si è legato stabilmente al contesto di '’ ndrangheta massona', stabilmente a disposizione dei boss». Ma non solo: il gip evidenzia «la condizione di obbligo a cui è tenuto il Pittelli nei confronti del capo che gli impone di versare una parte dei proventi dei suoi affari alla consorteria».

Tra le misure cautelari anche il divieto di dimora in Calabria imposto a Nicola Adamo, ex vicepresidente della Regione, per traffico di influenze, per aver «accettato» di intercedere con il Tar «sfruttando la propria relazione con il giudice Nicola Durante», presidente della II Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, per «sostenere la posizione processuale» di un imprenditore catanese in cambio della proposta di ricevere 50mila euro. Il sindaco Callipo, invece, secondo l’accusa avrebbe tenuto condotte amministrative illecite e favorevoli alle cosche, garantendo ad alcuni indagati benefici nella gestione di attività imprenditoriali.