Un conto è la Diciotti e un altro è la Gregoretti. Sulla questione dei “porti chiusi” salviniani il Movimento 5 Stelle prende le distanze dagli ex alleati leghisti. Se nel caso della Diciotti il blocco fu condiviso da tutti, per la Gregoretti si trattò di un’iniziativa esclusiva dell’allora ministro dell’Interno.

La resa dei conti tra gialli e verdi prosegue a colpi di comunicati e offese. I grillini fanno sapere che voteranno a favore dell’autorizzazione a procedere richiesta al Senato dal tribunale dei ministri di Catania e persino Palazzo Chigi, dove allora come oggi siede Giuseppe Conte, entra nella disputa per smentire le ricostruzioni del Carroccio.

Nella riunione del Cdm del 31 luglio scorso «la questione relativa alla vicenda della nave Gregorett non figura all’ordine del giorno e non è stata oggetto di trattazione nell’ambito delle questioni “varie ed eventuali” nel citato Consiglio dei ministri né in altri successivi», si precisa in una nota firmata dal Segretario generale della Presidenza del Consiglio.

La puntualizzazione serve a replicare a quanto affermato poco prima dallo stesso Salvini, che sulla vicenda Gregoretti dice: «Ci sono i fatti, le carte, le mail che dimostrano che fu una decisione collegiale. I decreti sicurezza li abbiamo approvati insieme e no agli sbarchi anche». In ogni caso l’ex ministro dell’Interno non teme affatto il processo.

«Non vedo l’ora di andarci, pop corn e bibite tassate dal governo», afferma ironico, prima di dedicare un passaggio all’ipotesi di reato contestata: «Il sequestro di persona è una cosa grave, era quella cosa che rapivano i bambini e gli tagliavano l’orecchio». Ma le parole più dure il segretario della Lega le riserva agli ex alleati: Di Maio e Conte.

«Ci sono rimasto male umanamente, mi è sembrato squallido, l’anno scorso dicevano “arrestateci tutti”, “abbiamo scelto insieme”», ricorda Salvini, “salvato” un anno fa sul caso Diciotti a colpi di click su Rousseau. Poi attinge al repertorio musicale italiano per definire i vecchi colleghi di maggioranza. «C’è una canzone di Mia Martini, “piccolo uomo”, e poi una di De Andrè, che parafrasando potrei citare con “più dell’onor potè la poltrona”».

La giunta per le Immunità del Senato si pronuncerà sul caso «probabilmente» il 20 gennaio alle 17, annuncia il presidente dell’organismo di Palazzo Madama Maurizio Gasparri. Fino ad allora, c’è da scommettere, Di Maio e Salvini se le canteranno di santa ragione.

«Mi pare che Salvini abbia sempre detto “mi voglio far processare, non ho niente da temere”», ironizza da Brindisi il ministro degli Esteri M5S. «Adesso fa la vittima al contrario», dice, convinto che, a differenza della Diciotti, il blocco della Gregoretti sia stata un’operazione di «propaganda» decisa esclusivamente dall’allora titolare del Viminale e annunciata via tweet «Ora lo vedo un po’ impaurito ma è evidente che ognuno si deve prendere le sue responsabilità», insiste Di Maio.

Per Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ce n’è abbastanza per poter definire il capo politico M5S «scandaloso». È scandaloso «che adesso si stia processando Matteo Salvini per aver impedito a persone irregolari di entrare», dice. «Ma c’è una cosa che considero più scandalosa di questo: Di Maio che vota a favore».

Sceglie un profilo meno aggressivo il Pd, che espone la propria posizione con la vice presidente del Senato, Anna Rossomando: «Come sempre guarderemo gli atti, ogni caso è a sé, ma in linea teorica il caso da discutere è sempre questo: se ci si deve sottoporre a un processo come tutti i cittadini italiani o se invece ricorre un preminente interesse nazionale pubblico e costituzionalmente rilevante».

Il 20 gennaio sarà tutto più chiaro.