Il principio è generale. E riguarda il ruolo da riconoscere alla classe forense quale protagonista della giurisdizione insieme con la magistratura. Una visione innalzata al più alto grado dal ddl sul ruolo costituzionale dell’avvocato, ma che intanto si fa strada attraverso declinazioni specifiche, comunque significative. Va letto in tale direzione il ritorno alla partecipazione con diritto di voto, per gli avvocati, all’interno delle Conferenze permanenti circondariali, gli organi territoriali della Giustizia che individuano le priorità nella gestione materiale degli uffici.

La norma reintroduce un riconoscimento che, per la professione forense, non era stato previsto dal decreto del presidente della Repubblica 133 del 2015, in cui era stabilita solo la facoltà, per il presidente della Corte d’appello ( o del Tribunale) di “invitare alle riunioni” della Conferenza il presidente dell’Ordine, senza diritto di voto.

La modifica è inserita nel maxiemendamento alla legge di Bilancio ora all’esame della Camera, ed è l’esito di una precisa richiesta avanzata dal Cnf al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. È la massima istituzione dell’avvocatura ad accogliere positivamente il provvedimento con una nota in cui ricorda «la richiesta avanzata dal Consiglio nazionale forense al tavolo ministeriale sull’edilizia giudiziaria» istituito dal guardasigilli.

È stata dunque reinserita, osserva il Cnf, «la piena partecipazione con diritto di voto per i presidenti degli Ordini degli avvocati in seno alla Conferenza permanente circondariale, composta dai capi degli uffici giudiziari e dai dirigenti amministrativi, “al fine di assicurare una più completa attività di determinazione del fabbisogno di beni e servizi dell’amministrazione periferica e degli uffici giudiziari”».

Si tratta, per il Cnf, «di un intervento che rafforza ulteriormente la cooperazione dell’avvocatura nell’amministrazione della giustizia a livello locale, nella direzione di una migliore fruibilità del sistema per i cittadini». Il presidente del Cnf Andrea Mascherin definisce «importante» il fatto di «aver recuperato il diritto di voto nell’ambito organizzativo degli uffici giudiziari. Ciò rientra», osserva, «nel percorso che deve portare al riconoscimento dell’avvocatura come componente del sistema giurisdizione in ogni sede, senza eccezioni di sorta».

Il riferimento è appunto al ddl sull’avvocato in Costituzione, incardinato nella commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama. Proprio la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati ha dichiarato nelle scorse settimane di «guardare con particolare attenzione» a quella riforma, che riconosce al difensore non solo «l’imprescindibilità» quale «titolare della difesa tecnica nel processo» ma anche la «valenza irrinunciabile sul piano della sua necessità sociale».

Il principio implica anche il riconoscimento della classe forense quale garante dell’autonomia dei magistrati, e perciò della stessa giurisdizione. Idea alta, che non può escludere, secondo il Cnf, il puntuale coinvolgimento dell’avvocatura anche sul piano organizzativo. Cosa che avviene con la norma sulle Conferenze permanenti prevista nella legge di Bilancio al comma 435. Un altro passo verso un’affermazione da cui potrebbe discendere un’idea della giustizia come servizio anziché materia di eterno conflitto politico.