Confusione ma soprattutto «grande, gigantesco imbarazzo». Sono queste le parole pronunciate più spesso dai parlamentari della maggioranza, davanti allennesima grana sulla strada del governo. Per un problema quasi risolto, il salvataggio dal crack della Banca popolare di Bari ( messa in sicurezza sì con il decreto approvato nottetempo ma ancora con la spada di Damocle europea puntata) piomba sul Parlamento lennesimo caso della giornata: la nomina del presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulle banche. I 5 Stelle volevano imporre il nome di Elio Lannutti, parlamentare di esperienza e stretta ortodossia molto apprezzato dai colleghi, ma sul suo nome si è immediatamente eretto il muro degli alleati. Troppe le gaffes inanellate dal senatore nel corso dei mesi, la più grave delle quali la condivisione di un post antisemita che rilanciava la fake news sui Savi di Sion ( falso storico risalente agli anni Venti che teorizzava una cospirazione ebraica per prendere il controllo a partire dalle banche), ma soprattutto la notizia di una sua incompatibilità visto che il figlio Alessio è dipendente proprio della banca su cui indagare, la Popolare di Bari. Questioni insuperabili secondo i dem e i renziani: «Serve un presidente che non sia lui. Mi accontento di uno che sappia distinguere il bilancio di una banca da una pentola a pressione», ha tuonato senza mezzi termini Luigi Marattin, seguito dalla sottosegretaria allo Sviluppo economico Alessia Morani, secondo cui il senatore dovrebbe avere «la sensibilità di togliere la maggioranzada questo imbarazzo» e Alessia Rotta, che ha confermato come «Lannutti dovrebbe fare un passo indietro perché non avrà mai il via libera del Pd. La sue farneticazioni sui protocolli di Sion lo rendono incompatibile con questo incarico istituzionale».La linea dura degli alleati è stata immediatamente compresa dai vertici del Movimento 5 Stelle e in particolare da Luigi Di Maio, per nulla intenzionato a salire sulle barricate per difendere il senatore e impegnato in un delicato vertice in Libia. Anche perchè il Movimento avrebbe altri tre nomi pronti sul tavolo: Carla Ruocco, Alvise Maniero o Laura Bottici. Eppure a mettersi di traverso è lo stesso Lannutti, che non ci sta a farsi da parte e anzi rilancia, blindando la sua candidatura e addirittura recandosi ieri a perorare la sua causa presso il padre nobile Beppe Grillo, a Roma per incontrare i parlamentari. «Alla commissione banche io non mi volevo neppure candidare: me lo hanno chiesto, io facevo il tifo per Paragone. Ma poi, con le procedure del M5S, mi hanno scelto. Dunque io sono il candidato del M5S e confermo che non farò nessun passo indietro», sono le sue parole a caldo dopo lincontro, al quale è stato accompagnato dallamico Antonio Di Pietro, la cui insolita presenza è spiegata dal passato di Lannutti nei ranghi dellItalia dei Valori. «Io non spaccherò, lo farà chi vota contro di me», ha poi aggiunto, respingendo anche le accuse sul conflitto di interesse a causa del lavoro del figlio, «che lavora lì come impiegato» . Insomma nessun passo indietro, anzi annuncia querele: «Chiunque nelle prossime ore continuerà ad alimentare questa campagna ne risponderà nelle sedi giudiziarie, non permetto a nessuno di gettare fango sul mio rigore etico e sullaserietà del mio impegno pubblico». Anche a costo di lasciare la maggioranza in ambasce. Se la testa del Movimento e una buona fetta di parlamentari considera Lannutti bruciato e chiede di andare oltre e trovare un nuovo nome, lala dura che fa capo a Paragone - il quale rivendica il voto espresso nelle commissione congiunte Bilancio e Finanze di Camera e Senato che hanno indicato Lannutti- non intende arretrare. E il problema potrebbe deflagrare durante lassemblea serale tra parlamentari a cui prenderà parte anche Grillo, il quale sembra aver abbandonato qualsiasi intenzione di mediare: «Non sono qui per rasserenare nessuno, sono qui per conoscere».Intanto, nel governo va avanti la guerriglia incrociata, questa volta con Italia Viva e Pd schierati contro il Movimento sempre più preda del caos interno.