Le ostilità sono proseguite sino all'ultimo secondo, e non solo sul fronte del Banco popolare di Bari. Il vertice di maggioranza che, sulla carta, avrebbe dovuto aprire la pista verso la pace e una nuova partenza, stavolta con il piede giusto, del governo e della maggioranza, si è invece trovato alle prese con due scogli enormi: la prescrizione e le autonomie. Solo una volta superate quelle micidiali rapide si potrà discutere di come ripartire. Se ne riparla a gennaio. Almeno l'obiettivo, ambizioso a dir poco, è comunque già stato fissato, subito e tassativamente, dal premier: arrivare al 2023 senza tirare a campare ma producendo leggi e riforme. Difficile anche solo a dirsi, quasi impossibile a farsi.

Lo stesso chiarimento in questione, infatti, è oggetto di contesa e terreno avvolto nella nebbia. Il Pd vorrebbe che assumesse i caratteri di una verifica, costringesse cioè i rissosi della maggioranza, Renzi e Di Maio, a cambiare marcia una volta per tutte. Conte ha derubricato a ' cronoprogramma'. Tutti fingono che si tratti di sinonimi. In realtà sono cose molto diverse.

L'agenda su cui punta il premier dà per scontato che non ci sia niente da verificare e che si tratti solo di procedere, pur se correggendo qua e là la rotta. L'obiettivo del Pd sarebbe invece appunto scoprire se andare avanti ha un senso oppure no. La missione rasenta l'impossibilità: afferrare un pesce sgusciante sarebbe più facile che non mettere alle strette i leader del M5S e di Iv ma anche lo stesso Conte. Non potrebbe essere diversamente perché nessuno, al momento, vuole la caduta del governo ma scandagliare troppo a fondo renderebbe quell'esito indesiderato quasi inevitabile. La divaricazione tra le forze di maggioranza, infatti, non riguarda questo quel punto del programma, questa o quella scelta, fosse pure la più importante.

E' invece strategica. Riguarda i fondamentali. Per Zingaretti è essenziale che l'esperienza di governo si traduca in un progetto politico di più ampio respiro: un'alleanza in grado di contendere subito a Salvini le 6 Regioni dove si voterà in primavera e poi di mettere in campo un'alternativa di governo per le prossime elezioni politiche. Il segretario del Pd si rende perfettamente conto che, senza un passo del genere, sarà impossibile sia nascondere che la ragion d'esistere della maggioranza è solo sbarrare la strada a Salvini, sia garantire coesione alla maggioranza.

La nota dolente è che, alla lunga, una maggioranza così sfilacciata possa iniziare e rivelarsi disastrosa anche sul piano della tenuta economica. A quel punto il governo giallorosa finirebbe per dimostrarsi un rimedio peggiore del male, cioè delle temute elezioni nell'ottobre scorso.

Una parte del M5S aderirebbe più che volentieri al progetto del Pd. Un'altra parte, con Di Maio in testa, non ne vuole però sentir parlare. La loro idea è sempre quella del ' contratto', comunque lo si chiami stavolta. Un accordo transitorio articolato su alcuni obiettivi specifici e che non leghi però ai pentastellati le mani. Conte è costretto dal suo difficile gioco d'equilibrismo a schierarsi sempre con la posizione che, in caso di frizione, metterebbe più a rischio il governo.

Fosse per lui, probabilmente, preferirebbe la formula del Nazareno, anche perché sarebbe in pole position per la candidatura a premier a nome dell'eventuale alleanza. Si rende però conto che quella strada è minata, che le chances di rottura con Di Maio sarebbero tenori e quindi, per ora, appoggia invece la strada più minimalista preferita dal leader dei 5S.

Renzi, infine, gioca una partita diversa e non intende vincolarsi né all'ipotesi di futura alleanza né al semplice contratto. La sua guerra corsara può svilupparsi solo mantenendo la massima libertà di movimento e scegliendo letteralmente di giorno in giorno la postazione più utile. E' però evidente che, con una divisione strategica simile, il governo ha poche chances di sopravvivenza.

Ecco perché il ragazzo di Rignano si è già rimesso in moto, stavolta con l'obiettivo di un accordo con Salvini ' per riscrivere le regole'. Può sembrare fantascienza, invece è il tema all'ordine del giorno nel Palazzo. Anche stavolta nessuno riesce a spiegarsi quale sarebbe la convenienza del capo leghista in un simile passo, che implicherebbe la seprazione da FdI e dalla furiosa Giorgia Meloni. La convenienza di Renzi invece è palese: eliminare un governo che non ama e un concorrente che teme, come Conte, senza per questo dover pagare lo scotto del voto in tempi troppo brevi.