«Qui è un rischiatutto», ha detto più volte Annamaria Palma, ora avvocata generale della Corte d'Appello di Palermo, ma all’epoca uno dei Pm che coordinò le indagini sulla strage di via D'Amelio. Si riferiva alle domande poste soprattutto dagli avvocati di parte civile, in particolare dal legale Rosalba Di Gregorio. Un timore forse giustificato dal fatto che, ora Palma è sentita nelle vesti di teste indagata per reato connesso nell'ambito del processo a carico di tre ex funzionari del gruppo Falcone- Borsellino, Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, accusati di calunnia aggravata.

Una palpabile tensione, la sua, sfociata in accuse nei confronti degli avvocati. «Noi – ha sbottato – siamo già stati oggetto di pesanti accuse da parte degli avvocati degli imputati che oggi siedono qui, in rappresentanza delle parti civili». Parole che hanno fatto infuriare i legali delle persone condannate ingiustamente. A prendere la parola l’avvocato Giuseppe Scozzola, legale di due degli imputati condannati all’ergastolo da innocenti, Gaetano Scotto e Vincenzo Orofino.

«Non si può permettere alla teste di dire queste cose - ha detto -. Se siamo parte civile è perché siamo stati calunniati». E Palma: «Lei sarà stato pure calunniato ma lei sedeva a difendere degli imputati, è un dato di fatto». Scozzola allora ha replicato irritato: «Perché erano innocenti e sono stati assolti e revisionati». «Questo è tutto da vedere…», ha ribattuto ancora l’ex- pm Palma. Parole che hanno fatto infuriare i legali, che hanno chiesto un intervento dell’Ordine degli avvocati di Palermo per essere “tutelati”.

L’esame si è concentrato soprattutto sulla collaborazione del falso pentito Vincenzo Scarantino. «In quella fase a me non diede affatto l'impressione di un collaboratore che non volesse collaborare, anzi. Faceva di tutto per accreditarsi, poneva delle precisazioni, faceva domande - ha spiegato Palma -. La prima dichiarazione fu anche fonoregistrata pur non essendo all'epoca obbligatorio».

Palma era presente agli interrogatori dell' 11 e del 12 agosto ' 94, e al terzo, quello fatidico del 6 settembre, in cui Scarantino tirò fuori per la prima volta il nome dei tre collaboratori, coinvolgendoli di fatto nella strage. «Fu un salto in avanti - ha detto -. In tutti e tre gli interrogatori io non ho mai appreso, se non nel momento in cui Scarantino faceva le sue dichiarazioni, che esistesse una preventiva concertazione con chi non lo so, rimanemmo tutti a bocca aperta quando fece quei nomi».

Ma i suoi tentennamenti? Palma ha risposto che ritenevano che – essendo una persona molto labile – ci fosse il pericolo che potesse essere indotto dai familiari a ritrattare. Persino la famosa ritrattazione del 26 luglio ' 95 al giornalista Angelo Mangano non fu mai, a suo dire, una vera ritrattazione, perché «la ritrattazione si fa davanti a un giudice». E le famose telefonate intercorse tra lei e Scarantino? Secondo Palma non c’è stata nessuna preparazione, visto che non si parlavano di atti processuali.

«Probabilmente il procuratore Tinebra diede i nostri numeri a Scarantino, io non lo accettai di buon grado, non era piacevole ricevere continue lamentele». Palma ha spiegato che non aveva suggerito nulla, limitandosi a spiegare a un collaboratore che entrava per la prima volta in un'aula di giustizia in quelle vesti cosa sarebbe accaduto. A domanda dell’avvocato Di Gregorio, Palma ha dichiarato di non ricordare a quali persone si riferisse durante alcune telefonate con Scarantino, che le disse di avere «paura di andare a Genova» per un interrogatorio e lei lo rassicurò sui trasferimenti che avrebbe dovuto effettuare. Scarantino spiegò che avrebbe dovuto incontrare persone che non gli piacevano ma l’ex pm non ricorda chi fossero.

E sul fatto che all’epoca la procura di Palermo, dopo averlo interrogato per altre questioni, aveva messo in dubbio l’attendibilità di Scarantino, Palma ha spiegato che in quel periodo c’erano contrasti tra le due procure e che Palermo non lo aveva mai comunicato a Caltanissetta. Così come non le sarebbe stata recapitata la nota dei magistrati Roberto Sajeva e Boccassini che misero nero su bianco l’inattendibilità di Scarantino.

Il punto focale è se la Palma sia entrata o meno in contatto con i funzionari del pool investigativo, ora sotto processo. Lei dice di no. «Scarantino oggi può dire quello che vuole. Noi lavoravamo sulla base di quello che lui ci diceva», ha spiegato.