Non si sono ancora spente le braci dell’incendio di Carige e le fiamme sono divampate in queste giornate di fine anno alla Banca Popolare di Bari. Il decreto appena varato dal Governo, pieno di buone intenzioni nella prospettiva di sostenere gli investimenti a Sud, fa ciò che è necessario in questi casi, vaccinando il sistema bancario per evitare contagi e salvaguardando i clienti della banca. Ma, come in altri casi, si tratta di acqua sul fuoco di un incendio annunciato da tempo. E allora ci si deve domandare se si tratti di un evento isolato, riconducibile esclusivamente ad una gestione scellerata o di altro.

Siamo difronte a fenomeni di emulazione da parte di piromani travestiti da amministratori delegati o di un problema riconducibile a un “cambiamento climatico” di cui si continuano a rinviare le soluzioni strutturali, sperando in modo un po’ incosciente di poter speculare ancora un po’ prima che la temperatura diventi troppo alta per continuare a respirare? La rimozione della dimensione strutturale e sistemica della “questione bancaria” sta sempre più assomigliando a quella del problema ambientale che, per nostra sventura, alcuni potenti del mondo continuano a trascurare, basti vedere i risultati deprimenti del vertice madrileno di questi giorni.

Si continua insomma a negare l’impellenza e la strutturalità di un problema limitandosi a spegnere gli incendi bancari via via che si manifestano, individuando il colpevole unico in qualche amministratore/ piromane di turno. Intendiamoci: i responsabili dei disastri ci sono e andrebbero arrestati e puniti anche con più determinazione di quanto si faccia, ma il vero punto è che se, come per la questione ambientale, non si agisce a livello planetario per cambiare i fondamentali di un sistema, gli incendi continueranno a divampare.

In questo contesto è paradossale la discussione a cui abbiamo assistito sul MES e sulla introduzione in esso del cosiddetto backstop per i dissesti bancari: al di là di ogni altra considerazione sul fondo salva stati, sono ridicole le affermazioni dei detrattori nostrani in merito all’eventuale salvataggio di banche straniere, come se il fallimento di queste ultime non comportasse conseguenze catastrofiche per il sistema bancario internazionale, compreso il nostro, e per la nostra economia.

Alcune dichiarazioni che abbiamo sentito sulle banche nel nostro Parlamento in questi giorni, ricordano quelle di Bolsonaro di fronte all’Amazzonia in fiamme che, secondo lui, sarebbe una questione solo brasiliana, o di Trump, che nega l’esistenza di un problema climatico planetario. Anche l’ABI su questo tema appare assai vacua: l’ostinazione di Patuelli a considerare le banche come un settore economico qualunque e non come sistema al servizio del Paese, lo porta a dire che le banche non acquisteranno più titoli di stato per difendersi dai rischi del MES e, contemporaneamente, a dolersi di non poter disporre di strumenti di intervento pubblico quando le banche vanno male ( strumenti che in realtà sono stati messi in campo in tutte le crisi sin qui verificatesi).

Un atteggiamento comprensibile solo nella logica di chi ambisce a rappresentare aziende commerciali obbedienti solo al mercato, che si trovano a subire la concorrenza sleale di analoghe aziende di altri Paesi europei che iniettano di denaro pubblico le proprie banche in barba alle norme sugli aiuti di stato.

Ma l’errore è proprio questo, perché le banche non sono aziende qualunque. Fanno parte di un sistema interconnesso al proprio interno e con l’economia e sono portatrici di una specifica responsabilità sociale, la cui rimozione è all’origine di tutte le crisi a cui abbiamo assistito.

E allora proprio le nuove crisi di banche italiane e quelle, ben più pesanti, paventate in banche d’oltralpe dovrebbero aiutarci a ridiscutere le regole del sistema finanziario e bancario nazionale ed europeo, affinché sia al servizio dei territori, dello sviluppo e della democrazia e non solo di un ristretto numero di avidi speculatori.

Mi resta una domanda: la scrittura di un’agenda per la riforma della finanza in cui coinvolgere i governi europei e quelli internazionali, dandosi delle scadenze per la riconversione sociale delle banche, avrà bisogno dell’avvento di un’altra Greta Thunberg?

* Segretario Confederale Cisl