Il successo di Boris Johnson, la disfatta laburista e le sfide per l’Europa dopo il voto nel Regno Unito. Il dubbio ne discute. è un profondo conoscitore della realtà britannica: Giancarlo Aragona, a lungo ambasciatore dell’Italia nel Regno Unito, già presidente dell’Istituto per gli Studi di Politica internazionale (Ispi).

Il trionfo di Boris Johnson, questo è il dato che emerge dal voto del Regno Unito. Da cosa è dipeso e come leggere la disfatta laburista.

La netta vittoria di Johnson, oltre le aspettative, ha diversi padri. Anzitutto, la chiarezza del messaggio che avrebbe chiuso la Brexit entro il 31 gennaio. Ha attratto così non solo la platea dei leavers, ma anche molti di coloro che, pur preoccupati, o contrari all’uscita dalla UE, erano esausti del lacerante psicodramma nazionale seguito al referendum. In secondo luogo, la inadeguatezza di Corbyn. Il suo radicalismo di sinistra, fatto di statalismo, nazionalizzazioni, etc, è stato archiviato dal laburismo alla Blair e non è in sintonia con i sentimenti prevalenti nell’elettorato anche riformista. L’antisemitismo nemmeno troppo nascosto e la ambiguità della sua posizione sulla Brexit sono stati altrettanto importanti nel determinare la sua debacle.

Ambasciatore Aragona, soprattutto quali difficoltà incontrerà il leader conservatore nel tenere unito sulla Brexit un Regno che unito non sembra essere come dimostra il successo dei nazionali scozzesi e lo stesso dato dell’Irlanda del Nord?

La Brexit ha fatto emergere profonde fratture tra le componenti nazionali del Regno. I fermenti indipendentisti della Scozia troveranno alimento nella uscita dall’Unione Europea. In Ulster, i protestanti Unionisti sono indignati del voltafaccia di Johnson che ha accettato a Bruxelles quello che Theresa May e la stragrande maggioranza degli esponenti politici, di qualsivoglia colore avevano sempre considerato anatema: per semplificare, un diverso status legale, nei confronti di Bruxelles, tra la provincia Nord Irlandese ed il resto del Regno Unito. I cattolici, dal canto loro, sono specularmente preoccupati che il futuro rapporto tra Londra e Bruxelles produca una frontiera tra la provincia e la Repubblica d’Irlanda. Nell’Ulster gli equilibri tra protestanti e cattolici sono delicatissimi e basterebbe poco a riaccendere i sanguinosi scontri del passato. Sul futuro dell’ Irlanda del Nord peserà il tipo di rapporto che Londra e Bruxelles negozieranno per il post Brexit. In effetti, la questione irlandese potrebbe rivelarsi più spinosa di quella scozzese. L’SNP ha avuto un trionfo che però non significa che un nuovo referendum sull’indipendenza sia vicino. Per indirlo, occorre una legge del Parlamento di Westminster dove il Governo godrà della maggioranza assoluta e dove il potere della rappresentanza scozzese sarà limitato.

Visto dal versante europeo, quali ricadute potrà avere il successo di Johnson?

Sinora l’attenzione si è concentrata sulla attuazione del divorzio, ma adesso comincia la partita più delicata. Johnson vorrebbe non avere vincoli nello stipulare accordi commerciali nel mondo e nel deregolare l’economia, oltre che nel limitare la circolazione e lo stabilimento delle persone. Al contempo, mira a salvaguardare un ampio accesso al mercato dei beni e servizi europei. Obiettivi contraddittori, soprattutto se collocati in una finestra negoziale molto stretta. È vero anche che già stamane alcuni commentatori prevedevano che Johnson, incassata la vittoria con una retorica populista, adotti una linea moderata. Il rapporto tra Regno Unito ed Unione Europea rappresenta un unicum dovuto a fattori storico- culturali. L’Economist lo descrisse in una delle sue celebri copertine definendo Londra «il Partner riluttante» della UE. Ma, se è provocatorio additare la Brexit come prima manifestazione della disgregazione della Unione, sarebbe altrettanto rischioso archiviarla come un caso specifico, privo di una qualche connessione con il malessere diffuso in diversi paesi europei. I 27 debbono quindi utilizzare questo sfortunato passaggio della storia del dopoguerra, ché la Brexit è uno snodo storico, per volgerlo a proprio favore, imparando le lezioni necessarie ed analizzando quali altre cause, oltre alle peculiarità, o idiosincrasie, inglesi, abbiano contribuito all’uscita dall’Unione di un membro di grande peso quale il Regno Unito. Nel breve- medio periodo, è probabile che le ricadute negative della Brexit saranno maggiori per Londra, specialmente sul piano economico. Non si può escludere però che, per alcuni aspetti, anche in seno alla UE si faccia sentire l’effetto della perdita di un partner di questo spessore. È quindi augurabile che il futuro rapporto tra Bruxelles e Londra sia il più ricco e costruttivo possibile. Se Bruxelles, come già nel negoziato per il divorzio, dovrà applicare il massimo rigore nel garantire la integrità dei Trattati, Johnson sarà chiamato ad un robusto bagno di realismo, fissando ragionevolmente l’asticella delle sue aspirazioni. Si capirà se ha la stoffa dello Statista o se è solo un brillante ed istrionico capo popolo, soprattutto capace di mobilitare consenso elettorale.