Ancora un braccio di ferro tra Donald Trump e le istituzioni americane, questa volta sul tema rovente della pena di morte che il presidente Usa vuole ripristinare a livello federale dopo una lunga moratoria. Se i singoli stati possono far ricorso al boia, i reati cosiddetti federali ( contro funzionari, agenti Fbi o crimini di spionaggio, terrorismo e traffico internazionale di droga) non sono puniti con la pena capitale dal 2003. Ancora martedì scorso una Corte d’appello dell’Indiana ha respinto la richiesta di cinque esecuzioni da parte del Procuratore generale William Barr, la prima era prevista per lunedì prossimo nel penitenziario di Terre Haute.

Una decisione che ha mandato su tutte le furie la Casa Bianca che ha già avviato il suo pressing sulla Corte Suprema, l’unico organo autorizzato a ribaltare la decisione del tribunale d’appello: sessantadue vite ( il numero dei prigionieri “giustiziabili”), dipenderanno da quanto stabiliranno le toghe più importanti d’America.

Lo scorso luglio Trump ha ufficialmente messo fine alla moratoria, spiegando che era un modo «di portare rispetto ai parenti delle vittime» e, c’è da giurarci, oltre all’immigrazione, la pena di morte e il giustizialismo saranno dei temi centrali della campagna elettorale per la Casa Bianca del 2020.

Tra i motivi che hanno portato a sospendere le esecuzioni tramite iniezione letale c’è la penuria cronica dei farmaci che servono al boia, uno per addormentare il condannato, un altro per paralizzarlo e il terzo per fargli arrestare il cuore. In mancanza dei farmaci originali diversi istituti di pena hanno fatto ricorso a prodotti sostitutivi che hanno inflitto sofferenze indicibili ai condannati. Per questo l’amministrazione Obama nel 2014 ha vietato il ricorso all’iniezione letale in tutti gli Stati, sospendendo di fatto le esecuzioni.

Barr ha giustificato la decisione di interrompere la moratoria affermando che ormai Stati come il Texas fanno ricorso a una sola iniezione a base di pentobarbital di sodio, un protocollo accettato dalla Corte suprema la quale, è convinto Barr, non potrà che estenderlo anche per le esecuzioni federali.

Ma la Corte d’appello dell’Indiana ha di fatto sconfessato questalinea, spiegando che il governo ha agito troppo in fretta e che c’è bisogno di valutare dal punto di vista medico e costituzionale il protocollo con il pentobarbital.

«La decisione dei giudici è priva di qualsiasi fondamento» ha commentato con stizza in una nota il ministero di Giustizia. Per il momento le cinque esecuzioni ordinate da Barr la scorsa estate possono attendere.