Chiamiamo partito oggi cose altre e diverse azienda, lista elettorale, eccetera - da quella forma della rappresentanza politica che abbiamo conosciuto nel ‘ 900. Si fa presto a chiamarli partiti, ma manca tutto: congressi, strutture e formazione

Chiamiamo partito oggi cose altre e diverse da quella forma della rappresentanza politica che abbiamo conosciuto nel ‘ 900.

Chiamiamo “partito” l’azienda, la lista elettorale che riluce come una meteora, il brand inventato sul pianerottolo di Montecitorio o di Palazzo Madama e che resta lì invariabilmente inchiodato senza poter contare su uno straccio di popolo.

E ancora: il giocattolo di un Cesare, lo strumento di un Conducator, il Movimento, che è tutt’altra cosa. Senza far necessariamente ricorso alla dottrina, ci possiamo intendere sulle cose essenziali che fanno un partito nella democrazia di stampo liberale.

Innanzitutto una base popolare che partecipi con metodo democratico esercitato attraverso la militanza, alla determinazione della politica nazionale ( articolo 49 della Costituzione).

Il che suppone anche una contendibilità dei vertici e degli organi di direzione intermedi ( leggi congressi) e non l’autoincoronamento del Capo. Poi una rappresentanza parlamentare per almeno qualche legislatura, perché occorre, ragionevolmente, una certa durata nel tempo: non è che ad ogni giro elettorale si possa cambiare la ragione sociale. Per capirci: in America e in Inghilterra i maggiori partiti sono lì da secoli e in altri Paesi democratici almeno dal secondo dopoguerra del secolo scorso. Forse da altre parti c’è troppo ossequio alla tradizione, ma da noi si esagera all’opposto. In ultimo, giusto per fare un menù stringato, ci sono l’organizzazione e la formazione. Che vuol dire presenza sul territorio, strutture gestite con professionalità, iniziativa politica che segua quel principio di pedagogia democratica che significa anche educazione alla cittadinanza: in altre parole formazione politica.

Quest’ultimo punto è forse il più importante perché prende in carico anche la costruzione delle classi dirigenti. Ma è il punto che “costa” di più. Chi paga i costi della formazione delle classi dirigenti? Nessuno, ovviamente, perché la formazione non c’è più...

A parte le volenterose iniziative di singoli mecenati o di pretenziose Summer School, non si vedono più in giro Frattocchie e Camillucce, i mitici luoghi della formazione politica dei dirigenti del PCI e della DC.

Non ci sono più e, se permettete, si vede. La politica, timorosa e spavalda, ha provato ad esibire la sua illibatezza da millenians dicendo sdegnosamente: no, il finanziamento pubblico ai partiti non lo vogliamo, affidiamoci ai privati. Il risultato è stato desolante da un lato, incentivante dall’altro. Desolante per la raccolta ( nel 2018 furono solo 15 milioni a fronte di una disponibilità di 25: alcuni “partiti” manco ci hanno provato perché non avevano uno statuto democratico), incentivante per l’accesso a risorse mascherate: il demi- monde delle fondazioni, per esempio.

È un atteggiamento ipocrita che racconta tutta la lontananza della classe politica odierna dal popolo sovrano.

Per capirci: in Germania, Paese che ha molto in comune col nostro tranne che l’esprit pubblico e il Pil, i partiti e le fondazioni politiche vengono finanziate dallo Stato e con cospicue risorse. Perché si riconosce la necessità di provvedere ad una classe politica dirigente all’altezza dei bisogni del Paese. Eppure la nostra Costituzione ci imporrebbe ( articolo 54 secondo comma) un obbligo analogo, facendo riferimento al concetto di “disciplina e onore” che incombe sull’esercizio delle funzioni del pubblico ufficiale.

E “disciplina” lì sta per “competenza”. Ecco una riforma che da noi potrebbe avere senso: il finanziamento pubblico alle fondazioni politiche a condizione che dimostrino di attendere veramente alla formazione della politica. Ne guadagneremmo in qualità e competenza e forse faremmo pure un po’ di sfoltimento alla nuova specie “fondazionale” che s’allarga sempre di più.

Nel frattempo, però, attenzione quando diciamo “partiti”.

Quelli veri, quelli con dentro idealità e gambe per farle camminare, sono partiti ( voce del verbo) per un lungo viaggio e all’orizzonte non si scorgono più.