«Con Di Maio mi sento quotidianamente, non c’è nessuna divisione». Da Londra, dove è in corso un vertice Nato, Giuseppe Conte prova a gettare acqua sul fuoco. La sua informativa alle Camere sulla riforma del Mes ha accentuato le distanze tra Palazzo Chigi e Farnesina, ma il presidente del Consiglio smentisce i retroscena su possibili fibrillazioni di maggioranza. «Abbiamo fatto sul Mes un vertice di governo, nell’arco di tre ore ci siamo confrontati sui vari aspetti, abbiamo emesso un comunicato congiunto», rassicura il premier. Ma per quanto Conte si sforzi di nascondere la polvere sotto il tappeto, l’insofferenza del capo politico torna sempre allo scoperto.

È lo stesso Di Maio, infatti, a marcare le distanze, in mattinata, dalla posizione del premier e del Pd, considerato ormai, in casa M5S, il vero partito di Conte. Con un lungo post su Facebook, il numero uno grillino indica la linea che il suo gruppo parlamentare dovrà seguire nei prossimi giorni. «Il Movimento 5 Stelle continua ad essere ago della bilancia», dice, ribadendo un concetto che negli ultimi mesi, complici i sondaggi poco lusinghieri, ingombra la visione politica “dimaiana”.

«Decideremo noi come e se dovrà passare questa riforma del Mes, che è una cosa seria e su cui gli italiani debbono essere informati accuratamente», è la minaccia al capo del governo. Perché se è vero che i ministri pentastellati erano stati informati del processo di riforma del Fondo salva- Stati, come sottolineato da Conte in Aula, è anche vero che quella riforma doveva far parte di un «pacchetto, che prevede anche la riforma dell'unione bancaria e l'assicurazione sui depositi», precisa il ministro degli Esteri. Musica per le orecchie di Alessandro Di Battista, tornato da qualche settimana in totale sintonia su tutta linea col vecchio compagno di partito. «Concordo. Non così, non conviene all’Italia», è il commento dell’ex deputato al post del leader M5S.

I toni non piacciono affatto agli alleati del Pd, convinti che la voce grossa di Di Maio sia solo un bluff senza via d’uscita. «Si è fatto un vertice in cui si è decisa una linea comune», dice il segretario dem Nicola Zingaretti, invitando il capo politico grillino ad abbassare «le polemiche». Meno diplomatico è il ministro per gli Affari europei Vincenzo Amendola, che da Bruxelles replica: «Se qualcuno dice “sul Mes decido io”, è ottimo per fare qualche like su Facebook, ma la posizione del governo è quella espressa dal presidente del Consiglio». Come dire: il ministro degli Esteri torni a occuparsi delle cose che gli competono, senza minare la tenuta del governo.

Eppure il titolare della Farnesina sembra voler procedere sulla strada dello scontro. E in cerca di alleati interni ha ritrovato l’incendiario Di Battista nel momento di maggior difficoltà della storia pentastellata. Le parole d’ordine sembrano quelle barricadere delle origini. Ma le origini ormai sono parecchio lontane e quella creatura nata dalle piazze del V- Day non somiglia neanche lontanamente all’attuale partito al secondo giro di legislatura.

Il ritrovato oltranzismo di Di Maio e Di Battista suona più come un urlo di insofferenza nei confronti dell’intesa giallo- rossa, considerata innaturale, che come un progetto per il futuro. Per questo il messaggio “radicale” non fa breccia tra i parlamentari. Buona di loro è già al secondo mandato e i “nuovi” sanno di non avere alcuna garanzia di tornare in Parlamento. In pochi, dunque, seguirebbero il capo politico in un salto nel vuoto qualora decidesse di tirare la corda fino a farla spezzare.

«Io non ho alcuna intenzione di far cadere il governo, lui forse sì», dice una deputata, dissociandosi dal leader. «Lui vuole rompere, non so in quanti potranno andargli dietro», confessa un altro. «Ormai può succedere di tutto», sussurra un’altra parlamentare, tra l’ironico e il rassegnato. «E 300 eletti se ne tornano a casa per un capriccio di Di Maio?», risponde un altro ancora. Con questi chiari di luna, insomma, in pochi si sognerebbero di staccare la spina al governo, alla vigilia dell’Eurogruppo in cui il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri chiederà un rinvio della riforma per concedere un extra time che aiuti a distendere il clima in Italia.

Ma per “vedere le carte” del Movimento basterà aspettare fino all’ 11 dicembre, quando, dopo le comunicazioni del premier alla vigilia del Consiglio Ue, la maggioranza sarà chiamata a varare una risoluzione comune. In caso di bluff, A Di Maio non resterà che accodarsi alla linea degli alleati.