Tutti vogliono mettere mano al codice penale, sia su fronte della maggioranza che dell’opposizione. E’ il caso anche dell’onorevole Edmondo Cirielli, che ha dato il cognome alla legge del 2005 che modificava il codice in materia di attenuanti, recidiva, usura e prescrizione ( salvo poi discostarsene fino a non votarla a causa delle modifiche intervenute, tanto da farla diventare nota come “legge ex Cirielli”). Il deputato di Fratelli d’Italia, infatti, ha depositato una proposta di legge incardinata ora in commissione Giustizia per abrogare l’articolo 131 bis del codice penale, che prevede l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.

«Rappresenta un quid pluris all’interno di un assetto normativo già colmo di istituti lassisti e favorevoli ai rei, la cui introduzione, nel corso degli anni, ha prodotto pericolosi meccanismi di disattivazione dell’effettività della pena», spiega Cirielli nella sua proposta. Secondo il deputato, la norma ( introdotta nel 2015 con l’obiettivo di evitare lo svolgimento di un procedimento giudiziario nel caso di reati come pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni, di esiguità di danno o pericolo e di particolare tenuità di offesa) permette una eccessiva discrezionalità in capo al giudice, quando invece «risulterebbe molto difficile comprendere, nella concretezza, quando l’applicazione dell’istituto sia adeguata ed equilibrata».

Pur volendo obiettare che la ratio norma sia di ridurre l’ingolfamento di tribunali e procure con reati di scarsa rilevanza ma che comunque richiederebbero un ordinario sforzo di indagine, Cirielli ribatte che proprio questo sarebbe uno dei problemi: «L’istituto in esame potrebbe essere impropriamente utilizzato per cercare di alleggerire il carico di lavoro degli uffici giudiziari.

Non per caso, infatti, l’introduzione della particolare tenuità del fatto si inserisce nei cosiddetti interventi di depenalizzazione che il legislatore avrebbe realizzato proprio per rispondere a esigenze di deflazione del sistema penale». Secondo il proponente, proprio questa finalità sarebbe contraria alla Costituzione: «L’esigenza di deflazione processuale non dovrebbe prevalere dinanzi ad altri princìpi cardine, come, ad esempio, il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, sancito dall’articolo 112 della Costituzione, che garantisce l’uguaglianza dei cittadini nei confronti della legge, l’indipendenza del pubblico ministero nell’esercizio delle proprie funzioni e, soprattutto, la difesa dei beni giuridicamente protetti dalla legge penale».

Di più, «Il mancato esercizio dell’azione penale per la particolare tenuità del fatto, nonostante la presenza di tutti gli elementi costitutivi del reato, contrasterebbe, infatti, con quanto prescritto dalla Carta costituzionale, che impone al pubblico ministero l’esercizio dell’azione penale ogniqualvolta vi siano gli estremi del reato».

La critica del deputato ex An è chiara: «Sembrerebbe che i Governi degli ultimi anni, invece di rafforzare la sicurezza, la legalità e la certezza della pena, abbiano affrontato l’atavico problema del sovraffollamento carcerario, che certamente esiste e rappresenta una delle maggiori criticità che insistono sul nostro sistema carcerario, con palliativi lungi dal garantire le esigenze di giustizia dei cittadini e di avere delle carceri civili».

Tradotto: non si può immaginare di ridurre il sovraffollamento carcerario mettendo in discussione l’obbligatorietà dell’azione penale. Complicato immaginare che la proposta di legge trovi approdo in Aula, ma torna a riprova dell’estrema distanza che separa la maggioranza dall’opposizione in tema di giustizia penale.