La violenza contro le donne è certamente un fenomeno in aumento come in aumento sono le diverse declinazioni della stessa. Violenza fisica, psicologica, assistita, domestica, fino ai quotidiani casi di femminicidio. “Femminicidio” è sostantivo maschile ovvero l'assassinio di una donna perché moglie, amante, fidanzata, compagna e in molti casi già ex. La famiglia, infatti, è oramai il porto insicuro dove si minaccia o si pone fine all’esistenza della donna senza distinzione di razza, ceto, latitudine, geografia.

I dati statistici a riguardo sono agghiaccianti. Nessuna causa e ancora pochi rimedi. Nessuna causa perché non c'è ragione o motivo che possa giustificare l’azione violenta a danno di una donna solo perché pensa, parla, lavora, abbandona... sceglie, se non un contesto sociale regressivo, avvilito da disinformazione e incultura e alimentato da linguaggio d’odio.

Rimedi pochi o peggio tanti ma non adeguatamente efficaci e soprattutto non sinergici. Non esiste una banca dati necessaria per censire e per conoscere il fenomeno. Non vi è un adeguato investimento di risorse per prevenire e proteggere.

Occorre una capillare attività di sensibilizzazione soprattutto delle giovani generazioni ed implementare e integrare la cultura di genere per veicolare l’ educazione al rispetto e al valore delle differenze così come è necessario implementare la tutela antidiscriminatoria nell’ambito lavorativo. Sono necessari interventi sugli uomini maltrattanti e dotare di risorse centri anti- violenza.

Occorre promuovere una legislazione che favorisca l’inserimento delle donne vittime di violenza e correggere e intervenire sulla comunicazione dei media.

E’ necessaria una formazione comune e specializzata di tutti gli operatori che intervengono nelle varie fasi del percorso di denuncia e di dolore nonché l’interazione tra i procedimenti civili in materia di famiglia e quelli penali eventualmente pendenti e l’applicazione corretta delle norme per reprimere ma, contestualmente, individuare strutture e percorsi per il recupero.

Tra le proposte: 1) Impegno quotidiano individuale e collettivo soprattutto di tutti e tutte coloro che ricoprono incarichi di “evidenza pubblica” a non porre in essere con parole fatti opere e omissioni comportamenti che incitano alla cultura della violenza degli stereotipi maschilisti e sessisti; 2) combattere la violenza contro le donne deve rappresentare l'imperativo categorico dello Stato con tutti gli strumenti a disposizione a tutela delle vittime che non sono solo le donne ferite minacciate e uccise ma sono i figli, la comunità e la società. E deve essere anche la battaglia quotidiana di ciascuno di noi contro il senso di una identità fondata sull’anomalia che ci sta trasformando in sopravvissuti. Gli operatori giuridici: magistrati, avvocati, procuratori e ancor prima operatori del sociale e Forze dell’Ordine hanno un ruolo fondamentale nella decostruzione di pregiudizi e stereotipi veicolati dal linguaggio per sua natura fortemente condizionato da sollecitazioni esterne.

Confondere o usare le parole sbagliate in una denuncia, in un atto in una sentenza ( conflitto piuttosto che reato, litigio piuttosto che aggressione) significa contribuire ad alterare valori e a confondere le azioni.

Nessuno può considerarsi immune.

In nessun luogo si è al sicuro quando l' aggressione verbale diventa lo strumento sporco per sminuire e poi distruggere. Il CNF con le sue attività e l’ impegno ai tavoli istituzionali preposti e dedicati al tema ed, in particolare, con il lavoro della Commissione Pari Opportunità e della Rete dei Cpo istituiti presso i Coa, continuerà a dare il suo contributo nella speranza di ottimizzare strumenti e risorse.