C’è un modo di “sentirsi femminista” di cui si parla troppo poco. O meglio, c’è un tempo per stare nella società fuori dalla “rete” e lontana dalla piazza, una volta riposta la bandiera politica sotto il letto. Comincia ogni mattina prima ancora del caffè, quando lo specchio ti restituisce un’immagine di donna non ancora impacchettata. Sei ancora scomposta, spesso stanca, e sai che gran parte della tua giornata dipenderà dal grado di “invisibilità” che vestirai: tra i pantaloni nuovi e il vecchio maglione slabbrato misuri la tua capacità di dare spiegazioni. Comunque vada, infatti, ci sarà qualcuno pronto a notarlo. Così ti infili nella metro affollata stemperando il rossetto forte con le scarpe basse, pronta ad azzannare il primo malcapitato che oserà sorriderti. Sono tempi bui, ti dici, quelli in cui ogni gentilezza passa innanzi alla tua censura involontaria.

Soltanto dieci anni fa, a dire il vero, non avrei sospettato che essere donna significasse molto più che essere una brava studentessa, una buona figlia. Per chi viene dal Sud, misurarsi con le contraddizioni di un retaggio culturale stereotipato, condito di galanteria e “convenzioni domestiche”, assorbe gran parte delle energie di un’adolescente alle prese con un’inettitudine completa alla cucina e al focolare. Di quella cultura vuoi conservare la parte migliore, quella che ti ricorda casa quando sei lontana, senza sentirtene schiava.

Ma la vera sfida parte quando cominci a misurarti con il mondo del lavoro, quando a poco a poco prendi consapevolezza delle storture di una società in cui fatichi a trovar spazio. Alla soglia dei trent’anni, impari che dalla brava studentessa ci si aspetta che diventi una buona madre o una stimata professionista. L’anima doppia è cosa da eroine: icone di donne che il mondo acclama invocando il miracolo dell’affermazione oltre le barriere. Di beniamine e primati da segnare in calendario è piena la storia e la contemporaneità.

Guardiamo ammirate al successo di Ursula von der Leyen, prima donna alla presidenza della Commissione Europea, monitoriamo l’ascesa al congresso statunitense di Alexandria Ocasio- Cortez, una giovane attivista cresciuta nel Bronx che si è fatta strada bussando alle porte di quartiere. Guardiamo alle statistiche e alle percentuali sull’occupazione e nei salari con sconcerto, accogliendo ogni numero che avanza come un successo. E piangiamo il numero di donne che non siamo riuscite a salvare, per le quali non abbiamo combattuto ancora abbastanza.

Allora ci rendiamo conto che c’è un altro modo di “fare femminismo”, di abbracciare la lotta sacrosanta contro ogni forma di discriminazione e di violenza. E’ un modo di rivendicare l’ordinario, di pretendere il diritto a essere anche senza un marchio o un’etichetta: una donna comune che si senta a proprio agio con qualunque tipo di persona abbia in cuore di diventare.