Difficoltà di accesso ai diritti fondamentali, violazione dei diritti umani, emarginazione e discriminazione. Questo è ciò che emerge da uno studio condotto dall’Ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ( Unhcr).

Il documento, presentato il 12 novembre scorso, si intitola “L’impatto dell’apolidi sull’accesso ai diritti umani in Italia, Portogallo e Spagna” e nei tre Paesi risulta una violazione sistematica dei diritti.

Nel mondo gli apolidi sono 3,9 milioni: una stima, in realtà, calcolata per difetto considerando che in molti Paesi mancano statistiche ufficiali. Grazie, però, all’attività dell’Unhcr e all’iniziativa # IBelong avviata nel 2014, 220.000 apolidi hanno ottenuto una cittadinanza.

Nel rapporto è evidenziato che in Italia, Portogallo e Spagna gli apolidi incontrano diversi ostacoli proprio a causa dell’assenza di documenti di identità, che provoca problemi anche per l’accesso all’istruzione.

Stessa situazione per l’assistenza sanitaria che è garantita nei tre Paesi, ma molti apolidi intervistati hanno evidenziato diversi problemi chiarendo che l’assenza di documenti legata proprio all’apolidia impedisce, non di rado, di usufruire dei servizi essenziali. Italia, Portogallo e Spagna sono Stati contraenti di entrambe le Convenzioni sull’apolidia. Tuttavia, Italia e Spagna non hanno ratificato la Convenzione europea sulla nazionalità del Consiglio d’Europa.

Le modalità di acquisizione della cittadinanza nei quadri normativi di riferimento italiano, portoghese e spagnolo trovano fondamento prevalentemente nel principio dello jus sanguinis – per cui la cittadinanza è conferita principalmente per discendenza. In varia misura, tutti e tre i Paesi hanno adottato un approccio inclusivo sull’accesso a cittadinanza e naturalizzazione basato sulla nascita sul territorio, con disposizioni potenzialmente utili per prevenire il protrarsi di casi di apolidia.

Spesso gli apolidi possono imbattersi in ostacoli nell’adempiere le procedure burocratiche e nel soddisfare i requisiti necessari per acquisire la cittadinanza alla nascita o tramite naturalizzazione oppure, semplicemente, possono non essere al corrente dell’esistenza di tali possibilità. Per esempio, nei casi in cui un bambino nasce da genitori apolidi in Italia, la salvaguardia contro l’apolidia alla nascita acquisisce efficacia solo quando lo status dei genitori è già stato formalmente riconosciuto tramite una procedura di determinazione dell’apolidia, un risultato che solo una minoranza degli apolidi che vivono nel nostro Paese riesce a conseguire.

In Italia, gli apolidi possono avvalersi di due differenti procedure, una amministrativa, l’altra giudiziaria. Tuttavia, i criteri restrittivi che limitano l’accesso alla procedura amministrativa, così come gli oneri finanziari e i passaggi burocratici legati alla procedura giudiziaria, comportano che il numero di apolidi che si vedono riconoscere formalmente il proprio status sia molto limitato.

In casi estremi può durare più di dieci anni, come nel caso di Dari, un giovane apolide che ha vissuto in Italia sin dall’infanzia che ha raccontato come ci siano voluti quasi 13 anni per essere riconosciuto apolide.

Secondo i dati ufficiali, attualmente in Italia la popolazione apolide conta 822 persone formalmente riconosciute, ma si stima che vi siano dalle 3.000 alle 15.000 persone apolidi o a rischio di apolidia che al momento vivono nel Paese. Molte di queste sono membri delle comunità rom originarie dell’ex- Iugoslavia stabilitesi in Italia alcuni decenni fa.

Il resto della popolazione apolide è composto principalmente da persone originarie dell’ex Unione Sovietica, dei Territori Occupati palestinesi, della Cina ( Tibet), di Cuba, dell’Eritrea e dell’Etiopia. In assenza di un riconoscimento formale dell’apolidia, le salvaguardie contro l’apolidia alla nascita di fatto non trovano applicazione, contribuendo alla trasmissione dell’apolidia alle nuove generazioni.

Ciò vuol dire che molte di queste persone, sebbene siano nate e cresciute in Italia e non ne abbiano mai valicato le frontiere, non sono titolari di alcuna cittadinanza.