Mentre Giuseppe Conte chiede idee ai suoi ministri per salvare l’Ilva, Arcelor Mittal consegna le chiavi dell’acciaieria ai commissari. Il colosso siderurgico franco indiano ha infatti depositato al Tribunale di Milano l’atto di citazione contro l’amministrazione straordinaria dell’impianto in cui viene chiesta formalmente la risoluzione del contratto d’affitto. La guerra di carte bollate può dunque avere inizio senza che l’esecutivo abbia in tasca uno straccio di piano B per salvare 11 mila posti di lavoro.

Il Movimento 5 Stelle continua a logorarsi al suo interno tra quanti vedrebbero di buon occhio la reintroduzione dello scudo penale per convincere Arcelor Mittal a restare e quanti non vogliono nemmeno sentir parlare di immunità ad personam. E per placare i malumori ieri mattina il presidente del Consiglio ha voluto incontrare a Palazzo Chigi i parlamentari tarantini, nell’estremo tentativo di convincere i ribelli a deporre le armi per il bene del Paese. Ne è scaturita un’assemblea particolarmente accesa - presenti anche Luigi Di Maio, Stefano Patuanelli e Federico d’Incà - utile solo a confermare lo stallo.

Conte vorrebbe «togliere ogni alibi ad AncelorMittal, anche in vista della battaglia legale che ci attende», ma per gli irriducibili la motivazione non basta a giustificare un atto contro cui hanno combattuto negli ultimi mesi.

«Non lo voterò mai, puoi scordartelo», avrebbe ribattuto al premier l’ex ministra per il Sud Barbara Lezzi, unica leccese presente all’incontro. A quel punto il capo politico sarebbe intervenuto, secondo alcuni presenti, per mettere in chiaro un solo concetto: «Il Parlamento è sovrano e decide assumendosi le sue responsabilità». Tradotto: se mancano i numeri in Aula, si torna a casa.

Nessuna « rivolta dei parlamentari pugliesi del M5S contro il presidente Conte», si affrettano a smentire i capigruppo pentastellati di Camera e Senato, una ricostruzione di questo tipo «è priva di fondamento», aggiungono. In ogni caso, la ricerca di una via d’uscita è rimandata al Consiglio dei ministri in programma domani. «Non esiste la bacchetta magica, abbiamo bisogno del tempo che serve per mettere a norma quell’impianto», dice in serata Di Maio. «Dopo trent’anni di abbandono non si può pretendere in 16 mesi» di fare tutto.

Soprattutto se le resistenze grilline non relegate all’ala pugliese. Almeno a sentire le parole del senatore Gianluigi Paragone, che esclude categoricamente di sostenere un provvedimento sulle tutele legali per Arcelor Mittal. «Ma per carità di Dio... L’ho detto in Aula: non accetto la possibilità di dare ad una multinazionale, che non ha rispetto per il lavoro e per i lavoratori, la possibilità di derogare alle regole», dice l’ex conduttore televisivo, che non teme di «parlare di nazionalizzazione» dell’acciaieria per uscire dall’impasse. Peccato che non la pensi come lui il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, impegnato a ribadire quotidianamente che la nazionalizzazione «non è un tema all’ordine del giorno».

Nicola Zingaretti, dal canto suo, segue gli sviluppi della situazione dagli Stati Uniti, dove è impegnato in una serie di incontri istituzionali e politici. La linea ufficiale del partito è quella illustrata dal ministro grillino per lo Sviluppo Economico Stefano Patuanelli nel corso di una relazione alla Camera molto apprezzata fra i dem. Mette in guardia dalla confusione polifonica solo Graziano Delrio, capo dei deputati Pd: «La maggioranza ha bisogno sicuramente di una messa a punto, l’inizio è stato un po’ stentato e sento troppe voci, il governo deve parlare con una voce sola», dice. Perché sull’Ilva «ci vogliono nervi saldi, in ballo c’è il destino del nostro Paese. Se il presidente del Consiglio vuole dare una garanzia di un potenziale ingresso di Cdp è una buona idea, ma l’importante è non creare confusione, stare tutti uniti e compatti, e riportare al tavolo l’azienda, casi così grossi non si risolvono con i titoli sui giornali, ci vuole pazienza», è il monito di Delrio.

Ma il tempo stringe e i forni Taranto potrebbero spegnersi a breve.