«In questo momento parlerei con gli altri partiti, dicendo: “scusate, ma sediamoci a un tavolo per cambiare il gioco e per dare un governo decente a questo Paese”». Mentre la maggioranza balla ancora sull’Ilva, il numero due della Lega, Giancarlo Giorgetti, propone a tutte le forze politiche una sorta di tregua costituente. Giusto il tempo di cambiare quelle «quattro o cinque cose necessarie» e poi di nuovo ognuno per la propria strada.

L’ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio, in epoca giallo- verde, lancia una bomba in mezzo campo con leggerezza, durante un convegno organizzato da Huffington Post, strizzando l’occhio a quanti, anche all’interno dell’attuale maggioranza vedrebbero di buon occhio una fine anticipata del Conte due. Tutte opinioni personali, «non autorizzate da Matteo Salvini», specifica, ma abbastanza inattese da mandare in agitazione più di un leader politico.

Il ragionamento di Giorgetti è semplice: «Quando avremo riscritto queste regole, preso atto che di fronte abbiamo chi dice “siamo qua perché dobbiamo eleggere il presidente della Repubblica”, facciamo una legge elettorale per accontentare tutti, così chiunque vincerà dovrà mettersi d'accordo in 4- 5 minuti». L’esponente leghista pensa a una sorta di tavolo per le riforme costituzionali, come si sarebbe dovuto fare già ad «agosto».

Perché l’interesse «dell’Italia è che questo governo non vada avanti così, ci si mette d’accordo per cambiare le cose necessarie, magari anche la legge elettorale, non so in che forma, ma per dare la possibilità a chi governa di decidere», argomenta Giorgetti. Il vice segretario del Carroccio spinge dunque verso soluzioni creative, convinto che se «la struttura costituzionale rimane quella di adesso e si torna al sistema proporzionale, questo Paese è spacciato, indipendentemente da chi va al governo».

L’ex sottosegretario dice di parlare a tutela dell’interesse nazionale, non per coltivare l’orticello leghista che dall’immobilismo dell’attuale maggioranza avrebbe solo da guadagnare. «Un governo che avesse un progetto e una visione, che pur io non condividerei, sarebbe una cosa», spiega. «Ma all'orizzonte ci sono tre anni di immobilismo per impedire a Salvini di non andare al potere». E questo il Paese non se lo può permettere, «anche se noi prenderemo volentieri i consensi che ci arriveranno per disgusto. Se continuiamo a vincere le amministrative li rafforziamo, perché non siamo in una situazione normale».

Insomma, il vice di Salvini alza la palla e aspetta che qualcuno schiacci. Il primo a farlo è il sindaco dem di Milano, Beppe Sala, che concorda. A stretto giro arriva il tweet di Renzi: «Oggi Giorgetti della Lega lancia l’idea di scrivere tutti insieme le regole del gioco. Mi sembra una proposta saggia e intelligente. Italia Viva c’è». Poi tocca al capogruppo dem al Senato, Andrea Marcucci, che commenta: «Approvare un testo con il concorso anche della Lega sarebbe un’ottima cosa».

Ma l’offerta del navigato esponente leghista potrebbe trovare nuovi estimatori nelle prossime ore. Soprattutto se gli eventi dovessero precipitare a causa delle divergenze sull’ex Ilva. In attesa di un nuovo incontro tra Giuseppe Conte e i vertici di Arcelor Mittal, infatti, Matteo Renzi forza la mano e presenta due emendamenti al decreto fiscale per reintrodurre lo scudo penale. Italia Viva preme sull’acceleratore a costo di mettere in difficoltà l’intera maggioranza. Perché l’immunità per il colosso dell’acciaio franco- indiano continua a dividere i partiti di governo. Anzi, un partito, il più importante: il Movimento 5 Stelle.

La disponibilità a reintrodurre lo scudo, più volte annunciata dallo stesso presidente del Consiglio, continua ad agitare le già inquiete acque grilline. I parlamentari pugliesi, capitanati dall’ex ministra per il Sud Barbara Lezzi, non vogliono sentir parlare di provvedimenti costruiti su misura di Arcelor Mittal e potrebbero mettere in serio imbarazzo Luigi Di Maio e l’intero esecutivo in caso di strappi improvvisi. E mentre i commissari limano il ricorso da depositare al Tribunale di Milano per stoppare l’uscita di ArcelorMittal dalla gestione del gruppo, tutte le ipotesi politiche restano in campo. Compresa la nazionalizzazione. Di soluzioni neanche l’ombra.