Le porte del carcere per l'ex presidente brasiliano Ignacio Lula Da Silva potrebbero aprirsi presto, riconsegnandogli la libertà. La clamorosa notizia arriva dal Brasile dove il Tribunale Supremo ha ribaltato la sentenza del 2016 secondo la quale era prevista la detenzione obbligatoria in carcere per imputati condannati in secondo grado. La decisione è passata con il voto favorevole di sei giudici su undici.

«Speriamo che il giudice possa emettere immediatamente l’ordine di libertà, perchè non c’è motivo di attendere altro», ha dichiarato l’avvocato dell’ex presidente, Cristiano Zanin. «Dal momento che la condanna inflitta è può essere considerata come cosa passato in giudicato, la detenzione dell’ex presidente Lula non si basa su nessuna delle ipotesi previste dall’articolo 312 del codice di procedura penale, ed è dunque indispensabile conformarsi immediatamente alla decisione emessa dalla Corte suprema», si legge in un estratto della petizione, che è stata depositata presso la sede di Curitiba della polizia federale.

Lula è entrato in prigione un anno e mezzo fa accusato di essere coinvolto nell'inchiesta denominata “Car Wash” ( in portoghese Lava Jato), la “Mani pulite brasiliana”, inizialmente era stato condannato a 12 anni, ma la pena poi è stata ridotta a 8 anni e 10 mesi. L’accusa era di aver ricevuto «in regalo» un appartamento da parte di una società implicata nell'indagine. L’inchiesta era incentrata principalmente sulla compagnia petrolifera Petrobras, poi gli inquirenti scoprirono miliardi di dollari di tangenti versati a politici e industriali e la maggior parte di loro finì in prigione, allargando lo scandalo a macchia d’olio.

Ora, grazie alla sentenza, potrebbe uscire dal carcere non solo Lula, ma almeno 4800 persone condannate per gli stessi reati e provvisoriamente in galera in attesa del terzo grado di giudizio. Lula, dal canto suo, ha sempre respinto le accuse, definendosi un prigioniero politico. Sul suo processo è sempre aleggiato il sospetto di una non totale imparzialità della corte: il voto decisivo che ha ribaltato l'orientamento del Tribunale Supremo è stato quello di Dias Toffoli, considerato un uomo molto vicino all'attuale presidente Jair Bolsonaro, nemico giurato dell'ex leader del Partito dei Lavoratori.

La norma che prevedeva la carcerazione dopo il secondo grado di giudizio era stata introdotta per “facilitare” il lavoro dei pubblici ministeri nelle inchieste per corruzione: attraverso la carcerazione, infatti, si sperava di poter esercitare pressione sugli imputati per convincerli a dare informazioni, in cambio di accordi premiali. In questi anni, però, la legislazione è stata criticata duramente dai giuristi, i quali ritenevano che violasse la Costituzione, secondo la quale in nessun caso si può privare un cittadino della sua libertà senza un giusto processo. Gli analisti brasiliani, tuttavia, hanno letto nell’iniziativa legislativa una mossa propagandistica: Lula in galera è una spina nel fianco del governo più che se lui fosse libero.

A causa della fedina penale ormai macchiata, infatti, Lula non potrà comunque più ricandidarsi alla guida del Paese e, sebbene il settantaquattrenne goda ancora di popolarità, dovrà necessariamente lasciare spazio ad altri esponenti della sinistra brasiliana.