Dopo quattro anni di udienze e 350 testimoni Nikos Michaloliakos, leader della formazione neofascista greca Alba Dorata è comparso in aula nel processo contro l’organizzazione di estrema destra che vede alla sbarra 69 militanti, tra cui 17 ex deputati. Sono accusati di costituzione di associazione criminale, di banda armata, di diversi omicidi e di un numero incalcolabile di aggressioni contro migranti, simpatizzanti di sinistra, sindacalisti.

Ha parlato per quasi tre ore  Michaloliakos,  che dai suoi seguaci si fa chiamare “il Führer”, e si è dichiarato «non colpevole», negando qualsiasi relazione con il nazismo, spiegando di essere semplicemente «un patriota e un nazionalista» che si ispira al dittatore degli anni 30 Ioannis Metaxas, accusando a sua volta i giudici e i media di aver ordito «un complotto per distruggere il partito».

Il saluto romano che i membri dell’organizzazione si scambiano regolarmente? «È lo stesso che accomunava i patrioti tra le due guerre».

Gli inviti ad aggredire gli stranieri e i concittadini “anti- greci”? «Dei modi di dire giusto un po’ sopra le righe». Le rappresaglie contro i sindacalisti? «Uno scontro soltanto ideologico».

Per giustificare il linguaggio d’odio che caratterizza Alba Dorata fin dalla sua fondazione ( 1985) è arrivato a citare il bellicoso testo della Marsigliese che definisce i tedeschi «sangue impuro». Le acrobazie retoriche di Michaloliakos diventano però delle goffe capriole quando gli viene chiesto dell’uccisione del cantante rap antifascista Pavlos Fyssas per mano di un militante di Alba Dorata: «Un fatto riprovevole, ma io che c’entro? Quando i comunisti uccidono qualcuno non si chiede certo conto al suo partito».

Il brutale assassinio di Fyssass, avvenuto nel settembre 2013 alla periferia di Atene, ha colpito a fondo l’opinione pubblica greca e ha spinto la magistratura ad indagare in modo capillare sull’organizzazione di Michaloliakos che all’epoca era in grande crescita, godeva di una comoda accondiscendenza da parte vertici di polizia e nel 2012, sulle macerie della devastante crisi economica che colpì la Grecia e del malcontento popolare, era riuscita a eleggere 21 deputati ottenendo un clamoroso 7%. Da allora molte cose sono cambiate nel paese ellenico; nel 2015 è iniziato il processo che ha decapitato i vertici del partito con decine di arresti tra cui Michaloliakos che ha passato 18 mesi in prigione e da due anni vive in regime di libertà vigilata. Alle elezioni politiche dello scorso aprile Alba Dorata è precipitata al 2,9% sparendo dal Parlamento.

Chryssa Papadopoulou, avvocato di parte civile della famiglia di Fyssass è convinta che l’organizzazione sia ormai «sul punto di morire», senza più consenso sociale né coperture dall’alto, cannibalizzata dalla sua stessa natura eversiva. Ma ci tiene a sottolineare l’importanza del processo di Atene: «È la prima volta dai tempi di Norimberga che un partito politico viene identificato come un’organizzazione criminale e i suoi membri processati per atti violenti tra cui l’omicidio». La sentenza è prevista per la prossima primavera.

Al di là delle condanne che verranno stabilite dai giudici la fine politica di Alba Dorata sembra un dato condiviso da tutti gli osservatori. Ma questo non significa la fine della xenofobia e del nazionalismo violento, una “belva” capace di affiorare dagli umori più lividi della crisi sociale.