La sentenza della Consulta che dichiara incostituzionale quella parte del 4 bis che vieta la concessione del permesso premio agli ergastolani ostativi che decidono di non collaborare, ha provocato reazioni scomposte da parte di taluni magistrati, partiti politici e gran parte degli organi di informazione. Eppure, tra di loro, c’è chi nel passato si era espresso per la completa abolizione dell’ergastolo. Curioso che oggi criticano una sentenza che non abolisce l’ergastolo ostativo, ma lo fa rientrare il più possibile entro il perimetro costituzionale.

Ma chi sono e in quale occasione sono stati parte attiva nella battaglia contro l’ergastolo ostativo? Tutto ha avuto inizio quando nel 2013 quando un gruppo di ergastolani ostativi diede vita a una campagna per sensibilizzare la Chiesa, la società civile, il governo e il mondo politico nel suo insieme, aprendo un dibattito culturale sull’abolizione della pena dell’ergastolo, tenendo conto del valore del “tempo” e del precetto marchiato nell'articolo 27 della Costituzione. Il loro desiderio è quello di vedere cancellato dalla loro “posizione giuridica” quel “fine pena mai” per essere sostituito da un “fine pena certo”. Solo in questo modo, secondo il gruppo di ergastolani, una società civile e uno Stato di diritto potrebbero garantire quella seconda possibilità che ogni persona merita.

Per queste ragioni, grazie all’aiuto dell’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi, gli ergastolani avevano attivato questa campagna raccogliendo migliaia di firme. Nel 2014 l’iniziativa popolare per l’abolizione dell’ergastolo è stata proposta alla Camera dove è poi rimasta nel cassetto. Tra i primi firmatari c’erano personalità come Agnese Moro, Margherita Hack, Umberto Veronesi, ma anche don Luigi Ciotti che però, oggi, ha espresso perplessità in merito alla sentenza della Corte costituzionale. Eppure, ribadiamo, la Consulta non ha abolito l’ergastolo. Tale iniziativa popolare era partita su più fronti, trovando anche l’ok di qualche parlamentare pentastellato. Tra i quali spicca Alessandro Di Battista che sottoscrisse l’appello contro l’ergastolo “perché – così scrisse – condivido in pieno”.

A presentare alla Camera la proposta di legge popolare c’era anche l’attuale ministro della Salute Roberto Speranza, oggi però è rimasto in silenzio. Un silenzio forse dovuto al fatto che il leader del suo partito, ovvero Pietro Grasso, si è espresso duramente contro la sentenza della Consulta, evocando il fantasma del papello di Riina.

Ma tra i firmatari della petizione popolare per l’abolizione dell’ergastolo ostativo spicca il nome di Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, in questi giorni in prima linea contro la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo prima e quella della Consulta dopo, con tanto di titolo in prima pagina: “La mafia ha vinto”.

Eppure, ribadiamolo ancora una volta, la sentenza non abolisce l’ergastolo come Sallusti stesso avrebbe voluto. Pochi sono rimasti coerenti, a differenza – per esempio – di Rifondazione comunista che sottoscrisse allora e oggi, coerentemente, ha esultato per la sentenza.

Quella iniziativa popolare firmata da numerose personalità politiche ed esponenti della cosiddetta “società civile” è scaturita, dicevamo, da un gruppo di ergastolani, guidato da Carmelo Musumeci, da poco in libertà condizionale. Musumeci, già quando era recluso, ha contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica nei confronti dell’inutilità della pena come l’ergastolo, in particolare quello ostativo che non permette l’accesso ai benefici o alla libertà salvo rare eccezioni e dove si può cambiare la sua condizione solo diventando collaboratore di giustizia. Ha varcato la soglia del carcere nel 1991 con una condanna all’ergastolo ostativo. La scadenza della pena fissata al 31 dicembre 9999, mentre anni fa si scriveva: fine pena mai. In pratica la stessa cosa. Musumeci ha attraversato dure prove durante gli anni di prigionia. Il 41 bis, le celle di isolamento a causa della sua ribellione al sistema carcerario, si è trovato a combattere non solo contro l’istituzione penitenziaria, ma anche contro diversi detenuti che, appartenendo alla cultura mafiosa, mantenevano l’ordine, quello di subire e basta, senza rivendicare i diritti. Un percorso che l’ha portato a creare relazioni con il mondo esterno, quello della cultura e della politica. Tanti, della società esterna, sostenevano la sua battaglia. E tanti di loro, oggi, si sono accodati nell’indignazione creata da una falsa informazione, in alcuni casi fatta da loro stessi.