Alla fine non ce l’ha fatta, nemmeno per poche ore ha potuto riabbracciare i familiari a casa. Mario Trudu, ergastolano ostativo recluso da 41 anni, è morto all'ospedale di Oristano per complicanze polmonari dopo aver vinto la sua lunga battaglia per curarsi fuori dal carcere di Massama e riabilitarsi fisicamente stando ai domiciliari. Questo è il fine pena mai che vige in Italia e pochissimi altri Paesi. Questo è l’ergastolo ostativo quando non si collabora con la giustizia: si può uscire dal carcere solamente tramite una bara. Mario Trudu muore proprio quando due sentenze, quella della Cedu e poi della Consulta, aprono una breccia nel muro di cinta del fine pena mai. Trudu avrebbe avuto tutte le carte in tavola per poter uscire da uomo libero, riabilitato, pronto per ricominciare a vivere, come prevede la nostra Costituzione scritta da chi ha conosciuto la ferocia dello Stato etico durante il fascismo. Non a caso, sulla nostra carta costituzionale non viene menzionato l’ergastolo così come il carcere. La svolta culturale, la più alta e illuminante, fu proprio quella.

Però Mario Trudu non ha potuto, nessun permesso premio, nessuna libertà condizionale e nemmeno, fino a venti giorni fa, la possibilità di curarsi adeguatamente fuori dal carcere.

C’è la sua avvocata Monica Murru, la quale da anni si è battuta per lui, che giovedì sera ne ha dato la triste notizia. «Mi hanno appena avvisato che Trudu non ce l'ha fatta – scrive Murru -, è morto stasera nel reparto di terapia intensiva, senza essere potuto tornare a casa neppure una manciata di ore. Ho davanti il suo viso, le sue braccia fatte di muscoli lunghi di uomo di campagna, come se avesse sempre zappato la terra anziché stare 40 anni in carcere, il suo sorriso ironico. E mi sento addosso il peso pesante di un lavoro inutile, di un risultato arrivato troppo tardi». E infine aggiunge: «Una sopraggiunta proprio adesso che la Corte Europea dei diritti umani e la Consulta hanno sancito una svolta verso una giustizia umana, verso una pietà che Mario non ha potuto sperimentare. Stanotte la mia toga è pesante e fredda come una coperta sarda. Una burra di orbace capace di schiacciarti, ma non di scaldarti».

Trudu faceva il pastore, ma ha anche fatto parte della famosa Anonima sequestri. Infatti venne condannato per due sequestri di persona. Del primo si dichiarava da sempre innocente, e tramite il suo libro edito da stampalibera “Totu sa beridadi, tutta la verità, storia di un sequestro” – teneva molto a sottolineare che se non fosse stato per quella prima ingiusta condanna ( 30 anni, ha scritto, sono davvero troppi per un reato non commesso) non avrebbe architettato il rapimento poi compiuto fuggendo da Ustica, dove era al confino in attesa della sentenza di Cassazione. Non per giustificarsi, aveva sottolineato, ma per spiegare quali sono stati i meccanismi dell’odio e della rabbia.

Era in carcere, come detto, da 41 anni, destinato a morirvi perché, assumendosi in pieno la responsabilità del sequestro dell’ingegner Gazzotti ( morto in uno scontro a fuoco poco prima che venisse rilasciato), non ha mai fatto i nomi dei suoi complici. E lo Stato, nel caso di non collaborazione, è feroce, spietato, senza concedere alcuna possibilità. Trudu in occasione di un’udienza per chiedere di curarsi disse: «Non vi sto chiedendo di farmi uscire, ma di farmi curare». Non è uscito dall’ergastolo ostativo, perché I magistrati ritenevano che la sua collaborazione potrebbe in astratto essere ancora possibile. L’avvocata Murru aveva presentato una miriade di istanze di permesso, anche legate a progetti, ma non era mai riuscita a ottenere nulla. Con la sentenza della Consulta avrebbe avuto finalmente la possibilità. Ma troppo tardi. Ora Trudu non c’è più.