Le prossime 48 ore saranno il rush finale per le regionali in Umbria, dove Walter Verini è commissario per il Pd e ha seguito l’intera campagna elettorale. Tuttavia, da membro della commissione Giustizia e della commissione Antimafia, non si sottrae al dibattito sulla sentenza della Corte costituzionale sul carcere ostativo.

Nicola Zingaretti ha definito «stravagante» la decisione dei giudici, ma la levata di scudi è stata unanime.

Alcuni effetti della sentenza possono destare perplessità. Dunque capisco le reazioni, compresa quella di Zingaretti e dei molti esponenti della magistratura che hanno fatto della lotta alle mafie una ragione di vita, come Gian Carlo Caselli.

Lei cosa pensa?

La mia opinione personale è simile a quella di Armando Spataro: un paese civile deve far sì che la pena sia certa ma al tempo stesso deve tutelare il principio secondo cui essa deve essere riabilitativa e soprattutto finalizzata al reinserimento sociale. Penso che la sentenza della Consulta sia coerente con l’articolo 27 della Costituzione, tuttavia capisco che il limite della sua applicabilità stia nella capacità del sistema di verificare caso per caso il livello di pericolosità sociale del detenuto e la sua idoneità a ottenere il beneficio.

Dunque fa parte della stretta minoranza d’accordo con i giudici costituzionali.

L’altro ieri sono stato in visita al carcere di Spoleto, dove sono detenute decine di ergastolani ostativi, e ho incontrato anche alcuni dirigenti della polizia penitenziaria. Uno di loro mi ha detto: “Tra gli ostativi ci sono persone in carcere anche quarant’anni e oggi sono uomini radicalmente diversi da quelli che commisero i reati efferati per cui scontano la pena. Che senso ha non dare loro un minimo di speranza, una chance di poter vivere gli ultimi anni di vita fuori, se non hanno più pericolosità sociale?”. Le ripeto, me lo ha detto un poliziotto, non un detenuto.

Come spiega la contrarietà della quasi totalità della magistratura?

Guardi, il tema è delicatissimo e capisco la levata di scudi. Di più, credo che si debba riflettere con serietà sulle parole di chi si è espresso contro la pronuncia. Caselli sostiene che un mafioso si comporta bene in carcere non perchè è assorbito da un percorso riabilitativo ma perchè segue le regole del codice mafioso, e mette in guardia sul rischio che i giudici di sorveglianza non abbiano tutti gli strumenti per valutare. Io capisco i suoi timori e dico che sarà necessario individuare un modo perchè queste valutazioni avvengano nel modo più accurato possibile. Aggiungo però che è necessario contemperare alla pena e alla necessità di sicurezza pubblica i principi di umanità e civiltà. E’ difficile, ma dobbiamo farlo: lo Stato non può mai essere vendicativo.

Tra i passaggi criticati, c’è quello di concedere i benefici anche ai detenuti che non collaborano.

Anche questo è comprensibile, perchè ci si chiede: se dopo trent’anni il detenuto è un uomo cambiato, perchè continua a non collaborare? Significa che il percorso riabilitativo non è completato. Anche su questo, però, non si può dividere il mondo in buoni e cattivi. Io mi chiedo: forse chi continua a non collaborare lo fa non perchè rimane fedele all’organizzazione mafiosa, ma perchè teme ritorsioni verso i familiari, per esempio. Bisogna lavorare perchè il giudice che decide sul beneficio abbia tutti gli elementi per valutare. Non mi fraintenda: non giustifico nulla e capisco le perplessità di persone di cultura democratica che sollevano obiezioni. Però difendo il fatto che la sentenza esprime un principio civile.

Il carcere, secondo decreto fiscale, è il luogo dove far finire anche gli evasori. Lei è d’accordo con la norma voluta da Bonafede?

L’evasione fiscale è il vero problema del nostro Paese. Chi evade, commette un furto aggravatissimo ai danni dei cittadini, perchè con la fiscalità generale si finanziano scuole, ospedali e servizi pubblici. Per combatterlo, la prima arma è la prevenzione con strumenti come la moneta elettronica, la tracciabilità e l’abbassamento della soglia del contante. Poi bisogna aggredire i patrimoni e lavorare sul contrasto di interessi: il cittadino deve trarre beneficio nel chiedere la fattura, perchè scaricandola risparmia. Solo come ultimo anello della catena deve esserci il carcere agli evasori.

Quindi condivide la norma?

Non sono contrario in linea di principio, ma non credo che l’aumento delle pene sia il deterrente principale, anche se mediaticamente risulta il più eclatante. Guai a semplificare con la battuta “manette agli evasori”, dimenticando che le vere armi sono l’educazione alla legalità e la prevenzione. La conseguenza, infine, deve essere che i soldi recuperati servano ad abbassare le tasse, a partire dalle fasce più deboli e dalle imprese.

Lei è commissario in Umbria. E’ un test nazionale?

In Italia siamo abituati a vedere riflessi sul governo anche con le elezioni di condominio. Abbiamo costruito questa alleanza senza avere in testa esperimenti in chiave nazionale: l’accordo si basa su un programma concreto per la regione, non sulla somma di sigle alleate a livello nazionale. E’ Salvini a considerarlo un test contro il governo, per noi il voto riguarda il benessere degli umbri.

Pronostici?

La partita è aperta. Partivamo da una situazione complicata ma abbiamo dimostrato di aver capito i nostri errori, di voler cambiare e di esserci aperti alla società civile, che ha risposto. Abbiamo rinnovato le liste e dato segnali di cambiamento: è vero che siamo in rincorsa secondo i sondaggi, ma le prossime 48 ore possono essere determinanti.