La realtà del mondo penitenziario è molto più difficile di quello che si riesce a immaginare, evocando anche gli ultimi comportamenti emersi di taluni agenti penitenziari, sottolineando che i comportamenti dei singoli non devono però macchiare l’intera categoria. Lo ha detto il capo del Dap Francesco Basentini, all’assemblea dei garanti territoriali delle persone private della libertà, riunita a Milano il 4 e il 5 ottobre scorso.

L’assemblea è stata coordinata dal difensore civico Carlo Lio della regione Lombardia. Presente Pietro Buffa, il provveditore dell’amministrazione penitenziario della regione Lombardia, che ha spiegato l’importanza delle figure di garanzia come possono essere i direttori dei penitenziari, notando negli ultimi periodi una difficoltà all’interno delle carceri. «Di fronte a certi episodi di violenza – ha spiegato Buffa – c’è una tendenza a negare o a delegare la gestione ad altre persone». Perché accade questo? «Non per sadismo – ha spiegato nel corso del convegno Buffa -, ma evidentemente per timore di ostracismo, di rimanere soli o giudicati». La questione della violenza, secondo Buffa, è una cornice di tutte le problematiche che affliggono il sistema penitenziario.

È stata la volta di Stefano Anastasìa, portavoce della conferenza nazionale dei garanti territoriali. Ha toccato diverse problematicità, ma ha innanzitutto registrato le grandi difficoltà che nell’ultimo anno si sono acutizzate. «Come sappiamo tutti – ha sottolineato Anastasìa – la popolazione detenuta è aumentata di millecento unità, ciò significa che abbiamo un tasso annuo di sovraffollamento del 120 percento, con il dato statistico che ogni sei detenuti, c’è né uno di troppo». In termini di risorse umane significa un sovraccarico per le diverse figure penitenziarie che già scarseggiano.

Ma Anastasìa, a nome di tutti i garanti, chiede al nuovo governo un cambio di rotta, che riporti il carcere all’extrema ratio, superando quindi l'equazione tra pena e carcere. «Questa è la grande sfida culturale – ha esortato Anastasìa – che noi tutti dobbiamo affrontare». Inoltre ha evidenziato che le misure alternative, contemplate nell’attuale e seppur perfettibile ( come avrebbe voluto la riforma originale) ordinamento penitenziario, sono un modo diverso di scontare la pena e che dovrebbero essere favorite anche per coloro che non hanno gli strumenti necessari per accedervi.

Il portavoce dei garanti territoriali ha anche fatto da eco a ciò che ha detto precedentemente il provveditore Buffa, sottolineando che il clima di tensione «serpeggia nelle nostre carceri» e che andrebbe combattuto eliminando la visione manichea che porta a suddividere tutta la comunità penitenziaria in nemici e amici. «Smontare questa tensione – ha spiegato ancora Anastasìa – vuol dire anche valorizzare la professionalità degli operatori nella gestione dei detenuti, perfino di quelli più problematici, evitando così quel fenomeno che porta ai continui trasferimenti da un carcere all’altro». Particolarmente grave – ha osservato sempre il portavoce dei garanti – «quando ad essere trasferiti in continuazione per motivi disciplinari, sono i detenuti con problemi mentali, esacerbando ancora di più le loro patologie».

È intervenuto anche il garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma, il quale ci ha tenuto a spiegare che il ruolo dei garanti non si limita solamente alla questione delle carceri, ma che si estende anche in altre situazioni della privazione delle libertà. «Pensiamo – ha osservato Palma – alla detenzione amministrativa dei migranti considerati non regolari, parliamo dei centri di permanenza e rimpatrio che a differenza delle carceri non vengono presidiati dalla magistratura di sorveglianza».

Mauro Palma ha quindi invitato i garanti territoriali ad estendere le loro competenze anche verso quest’altri istituti dove, di fatto, le persone sono private della libertà e paradossalmente con meno garanzie rispetto alla detenzione ordinaria. Così come, ha proseguito il garante nazionale, «ci sono altri luoghi come ad esempio il servizio di diagnosi e cura dove avvengono i trattamenti sanitari obbligatori e metodi di contenzione». Mauro Palma è partito da questo, per spiegare che ci sono diverse estensioni della privazione e soprattutto restrizioni della libertà. Il garante nazionale ha anche tirato una stoccata alla magistratura di sorveglianza. «Mi duole dirlo – ha osservato Palma –, ma i magistrati esercitano poco la vigilanza negli istituti, facendo pochi colloqui con i detenuti all’interno delle carceri».