La giustizia è di tutti. Di recente lo si è voluto riaffermare, da parte della maggioranza di governo, con un disegno di legge a cui si è data priorità: il testo presentato dal guardasigilli Alfonso Bonafede sul patrocinio a spese dello Stato. Si è trattato di un saggio di coesione politica, tra le forze che esprimono l’esecutivo, non riducibile alle sole previsioni tecniche contenute nel provvedimento: sia il Movimento 5 Stelle che il Pd hanno segnalato innanzitutto il valore di quelle norme sul piano dell’ «equità sociale».

Un messaggio ritenuto “sotteso” a quel ddl sia rispetto a un più esteso e agevole accesso alla giurisdizione, quale che sia il reddito della persona, sia per alcune specifiche norme che meglio riconoscono l’opera dell’avvocato. Ecco, l’avvocato: a ben vedere, è sempre la figura centrale, nella tutela delle garanzie e dei diritti. Rappresenta l’intermediazione indispensabile per il cittadino. In alcuni casi ne assicura una tutela che si sarebbe addirittura tentati di definire “sindacale”.

Aggettivo quanto più formalmente inappropriato, certo. Ma per comprendere l’allusione azzardata da una simile iperbole, si pensi alla giustizia amministrativa. Il ruolo anche ordinamentale, istituzionale svolto in un campo simile dall’avvocatura si manifesta in maniera particolarmente immediata anche in quella veste di tutela collettiva, oltre che individuale, già chiaramente riconoscibile in tutte le altre giurisdizioni.

Nel campo amministrativo la controparte del cittadino è il pubblico potere. È inevitabile che l’amministrativista porti dinanzi al Tar o al Consiglio di Stato un’istanza di giustizia che nei fatti può apparire proposta da una posizione di partenza non vantaggiosa. Di un simile appassionante tema si è discusso alcune settimane fa in un incontro davvero inedito e prezioso: l’intervista pubblica, condotta dal presidente del’Associazione veneta degli avvocati amministrativisti Stefano Bigolaro e dal giornalista dell’Arena di Verona Maurizio Battista, con la più alta autorità giudiziaria in campo amministrativo, ossia il presidente del Consiglio di Stato Filippo Patroni Griffi.

La cornice di per sé si è rivelata efficace: il palco di “Lex and the City”, ricchissima ( e geniale quanto a spunti creativi, come già dal titolo) kermesse sulla giustizia tenuta nell’ultimo fine settimana di settembre a Verona, fortemente voluta dall’Ordine forense della città. Il vertice della massima giurisdizione amministrativa non si è sottratto, tutt’altro. E anzi, con le sue risposte ha dimostrato due cose: come il confronto sul rischio che l’interesse pubblico pregiudichi il principio di legalità sia ritenuto quanto meno utile anche da parte del giudice amministrativo; e come nessuno più degli avvocati abbia titolo per porre la questione.

Oltre un’ora di dialogo, in cui per esempio è emersa la specificità delle valutazioni che, secondo Patroni Griffi, «si possono compiere nel giudizio cautelare, quando si considera in maniera particolare la possibilità di creare un danno, a una delle parti, tale da rendere di fatto inutile la successiva valutazione di merito».

O anche la immutata sostenibilità, per il massimo vertice di Palazzo Spada, della «compresenza, nel Consiglio di Stato, di funzioni consultive e giurisdizionali, tenuto conto che si considera il giudice come un tecnico e in quanto tale dotato della massima neutralità». In ogni caso è stata la prima volta che un presidente del Consiglio di Stato abbia accettato il dialogo con l’avvocatura nelle modalità “dinamiche” e, se si vuole, “spettacolari” dell’intervista pubblica. Già di per sé un notevole segno di apertura. Nei confronti degli avvocati e, più in generale, di quell’unità della giurisdizione che proprio il ceto forense sollecita come valore comune da affermare in modo sempre più netto.