Magistratura indipendente, la corrente moderata delle toghe, ha vinto le elezioni suppletive per la categoria dei requirenti di Palazzo dei Marescialli. Antonio D’Amato, procuratore aggiunto a Santa Maria Capua Vetere, è stato, con 1460 preferenze, il magistrato più votato.

Il pm, 56 anni, ha scavalcato il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, super favorito della vigilia e sostenuto da Autonomia e indipendenza, la corrente fondata nel 2015 da Piercamillo Davigo. Per lui solo 1184 voti. Il risultato ha di fatto ribaltato tutte le «previsioni dei giornaloni che davano vincenti la sinistra giudiziaria e Di Matteo», secondo la chiave proposta, terminato ieri mattina lo spoglio in Cassazione, dall’ex membro laico del Csm e attuale deputato di Forza Italia Pierantonio Zanettin.

Espulsa dalla giunta dell’Associazione nazionale magistrati e con il gruppo falcidiato dalle dimissioni a piazza Indipendenza, Magistratura indipendente era da più parti data per spacciata. Tre consiglieri di Mi su cinque avevano infatti dovuto abbandonare il Plenum dopo che alcuni giornali a fine maggio avevano raccontato della loro presenza a un incontro in un albergo romano con i deputati Cosimo Ferri e Luca Lotti, oltre che con l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara.

Oggetto dell’incontro, la nomina del nuovo procuratore della Capitale, votata una settimana prima nella commissione per gli incarichi direttivi del Csm. L’incontro, ritenuto inopportuno da diversi settori della magistratura, aveva costretto ad un passo indietro tutti i consiglieri presenti. Anche chi a quell’incontro non aveva aperto bocca. Per la cronaca, nessuno di loro è al momento indagato.

«I magistrati italiani hanno capito cosa è effettivamente successo al Csm in questi mes», ha dichiarato una toga di Mi commentando il risultato del voto. Ma al contrario, per un esponente di peso dell’associazionismo giudiziario come Eugenio Albamonte, segretario di Area ed ex presidente dell’Anm, «l’esito restituisce un’immagine della magistratura in cui parte degli elettori continua a non volersi affrancare da vecchie logiche clientelari. Il primo degli eletti è il candidato di MI, cioè», dice Albamonte, «della corrente più coinvolta nello scandalo di primavera e che per tutta la campagna elettorale non ha mai preso le distanze da un certo modo deteriore di stare nelle istituzioni di autogoverno».

D’Amato, magistrato poco conosciuto fuori dai confini della Campania, ha raccolto i voti anche delle toghe di Unicost, la corrente centrista della magistratura, che non si sono riconosciute nella attuale dirigenza, secondo alcuni “appiattita” sulle posizioni di Area. Una scissione pare alquanto probabile nei prossimi mesi. Area aveva tanti candidati fra i sedici magistrati in corsa per i due posti rimasti vacanti dopo le dimissioni.

Molte le toghe di punta: dall’ex segretaria di Magistratura democratica Anna Canepa al procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano, il magistrato che lo scorso anno aveva chiesto l’assoluzione per Marco Cappato nel processo per la morte di dj Fabo. Tanti candidati che hanno però determinato una dispersione di voti.

Il risultato negativo, verosimilmente, costringerà la dirigenza di Area a tornare sui propri passi, puntando su un solo candidato “forte” per le prossime elezioni. A dicembre si voterà per sostituire il giudice Paolo Criscuoli, togato di Magistratura indipendente. Chi doveva subentrargli, Bruno Giangiacomo di Area, aveva rinunciato per la pendenza di un disciplinare.

Il risultato di queste elezioni si presta a diverse considerazioni. La più importante, certamente, è il mancato condizionamento del voto dei magistrati dopo il “Palamaragate”. Le polemiche paiono molto ridimensionate. Poi, da parte delle toghe di Mi, lo scatto d’orgoglio per “riprendersi” uno dei posti in plenum che avevano dovuto lasciare.

Stamane, infine, è in programma il primo Plenum con i neo eletti.