Pochi giorni fa a Montevideo in Uruguay si è tenuta una conferenza bilaterale di due giorni sulle misure alternative alla detenzione e la messa alla prova, organizzata dalle seguenti agenzie europee: Eurosocial, COPOLAD e EL PAcTO. Le tre organizzazioni hanno mission diverse: Eurosocial è un programma di cooperazione che contribuisce a ridurre le disuguaglianze, migliorare i livelli di coesione sociale e rafforzare le istituzioni di 19 Paesi dell'America latina; COPOLAD promuove la creazione di politiche sulle droghe, supportate da strumenti obiettivi di monitoraggio e basati su strategie affidabili ed efficaci; EL PAcTO è un programma di Assistenza contro il Crimine Transnazionale Organizzato. Nell’incontro sono stati chiamati i rappresentanti dei Paesi dell'America Latina e dei Caraibi, nonché la delegazione italiana e quella spagnola per confrontarsi sulle misure alternative alla detenzione. In rappresentanza del nostro Paese sono intervenuti la dottoressa Lucia Castellano, Direttore Generale per l'Esecuzione Penale Esterna e di messa alla prova presso il Ministero della Giustizia, un magistrato di sorveglianza, e i rappresentanti di EL PAcTO ed Eurosocial.  Come racconta al Dubbio la dottoressa Castellano “in America del Sud il tasso di carcerazione è elevatissimo e le pene alternative sono quasi esclusivamente deflattive del carcere. Ad esempio il Guatemala non le prevede proprio. A ciò si deve aggiungere che per l’opinione pubblica non può esistere altra pena che la prigione”. Secondo uno studio pubblicato ad aprile del 2019 dall’Igarapé Institute, un noto think tank brasiliano, “più di 10,4 milioni di persone sono detenute in tutto il mondo. Di queste, circa 1,4 milioni (12,6%) sono in America Latina”. Inoltre la regione deve affrontare alti livelli di criminalità: il tasso medio di persone nelle carceri è di oltre 263 per 100.000 abitanti; in Italia si aggira sui 60. Inoltre, il crescente utilizzo di detenzioni pre-processuali rappresenta oltre il 30% della popolazione carceraria; in alcuni Paesi sud-americani oltre il 70% dei detenuti viene incarcerato prima del processo. “Ci siamo confrontati – prosegue Castellano -  sul senso delle pene alternative, da non considerare come premi bensì come vere e proprie sanzioni da scontare all’esterno del carcere, lasciando il carcere come extrema ratio. Poi abbiamo cercato di far comprendere che le misure alternative sono anche uno strumento di lotta contro la criminalità organizzata, perché privano le carceri di quella manovalanza a cui insegnare ad essere criminali”. Durante i dibattiti è stato spiegato il sistema italiano delle misure alternative, sottolineando che non è solo gestito dall’amministrazione penitenziaria: “in America Latina non ci sono progetti condivisi con il territorio e il terzo settore, ma solo prescrizioni di regole da osservare. Durante gli incontri – ha proseguito Castellano - ho raccontato del nostro lavoro in Italia e ho detto che la risposta punitiva, dentro come fuori dal carcere, è un tema che riguarda tutti e che deve partire dal territorio, dalla comunità fuori dal carcere: enti locali, terzo settore, imprese, scuole. Con i colleghi abbiamo evidenziato come il concetto di sicurezza sociale passi attraverso le misure alternative, suscitando l’interesse degli interlocutori, compresi alcuni giudici. Abbiamo poi trasmesso l’importanza di intercettare l’autore di reato prima che la sentenza sia emanata, quando è ancora imputato e a cui si può proporre un lavoro di pubblica utilità che se ben condotto estingue il reato”. Si tratta dell’istituto giuridico della messa alla prova, per cui, con la sospensione del procedimento, l'imputato viene affidato all'ufficio di esecuzione penale esterna (UEPE) per lo svolgimento di un programma di trattamento che preveda come attività obbligatorie: l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione gratuita in favore della collettività; l’attuazione di condotte riparative, volte ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato; il risarcimento del danno cagionato e, ove possibile, l’attività di mediazione con la vittima del reato. Secondo i dati del nostro Ministero della Giustizia aggiornati al 15 settembre 2019 sono 59793 i soggetti destinati a misure alternative alla detenzione, sanzioni sostitutive, misure di sicurezza, sanzioni e misure di comunità. Per la dottoressa Castellano: “In Italia il sistema di probation è in costante evoluzione. La diversificazione delle misure (che vanno dalla messa alla prova dell’imputato al lavoro di pubblica utilità come sanzione alternativa alla condanna, alle misure alternative tradizionali) disegna un sistema in cui il carcere è sempre più l’ultima risposta, riservata ai casi più gravi” e ha concluso: “in America Latina invece la strada è lunga. Ma affascinante è la prospettiva di percorrerla, per quanto possibile, insieme, di qua e di là dell’oceano”