Sono bastati cento giorni di lavoro per far saltare il Consiglio d’amministrazione dell’Ama, la municipalizzata che si occupa della raccolta dei rifiuti a Roma, che ora si avvia verso il suo sesto cambio al vertice in soli tre anni. Con una lettera che denuncia l’ «assoluta inerzia» del Comune, i tre consiglieri Luisa Melara, Paolo Longoni e Massimo Ranieri hanno rassegnato, ieri, le dimissioni, comunicando il venir meno della «necessaria fiducia nel socio unico di Ama Spa». Parole contenute in un lettera indirizzata alla sindaca di Roma Virginia Raggi, finita subito nel mirino delle opposizioni, che ora ne chiedono le dimissioni immediate.

A fornire il pretesto lo scontro sul bilancio e, in particolare, il credito rivendicato dall'azienda, un tesoretto da 18,3 milioni per i vecchi servizi cimiteriali, relativi agli anni tra il 2008 e il 2016. Un debito che però il Campidoglio sostiene di non avere e, dunque, di non volere pagare. Tale cifra, assieme ad altri 104 milioni di varie fatture inserite nel fondo crediti, impedisce, dal 2017, l’approvazione del bilancio.

Proprio per gli scontri su tale posta, a febbraio scorso Raggi aveva silurato il vecchio Cda presieduto da Lorenzo Bagnacani. E così come il vecchio Cda, anche quello in sella fino a ieri aveva inserito quella cifra in un fondo rischi per oneri contrattuali collegato al patrimonio netto. Tre giorni fa, il Campidoglio aveva però comunicato il suo niet all’azienda, escludendo categoricamente la possibilità di approvare «un bilancio di Ama Spa che sia redatto in maniera non corretta e contenga valutazioni già in precedenza non avallate dal Comune».

Per l'amministrazione capitolina, infatti, quei 18 milioni sarebbero stati incassati da Ama in eccedenza rispetto al contratto con il Comune e, quindi, «senza alcuna giustificazione». E dunque, secondo l’amministrazione Raggi, Ama avrebbe dovuto restituire quei soldi ai cittadini, «così come aveva riconosciuto nel 2017, riversandoli all'amministrazione. Non risulta dunque alcun credito che possa essere vantato da Ama su tale somma». Parole smentite dallo stesso Cda, che ha ricordato al sindaco Raggi la delibera 21 dell’ 8 febbraio scorso, con la quale tale posta «è stata da lei ratificata con l’approvazione del bilancio chiuso al 31 dicembre 2016».

A complicare la situazione c'è anche l'ordinanza della Regione Lazio, prorogata lunedì e che salva il Campidoglio dall’emergenza rifiuti. A patto, però, di onorare alcuni impegni, tra i quali proprio l’approvazione del bilancio Ama. Le ragioni delle dimissioni, affermano gli ex consiglieri, vanno però ben oltre i 18,3 milioni contesi, somma «neutra rispetto al risultato dell’esercizio e al patrimonio netto della società».

A determinare la frattura è stata la «mancanza di una fattiva e concreta collaborazione con Ama», trattata come «un soggetto privato antagonista». A pesare sono dunque i 104 milioni che Ama avrebbe dovuto incassare in virtù del contratto di servizio del 2014, nonché i 30 milioni fermi dal 2009, per incassare i quali il Campidoglio avrebbe dovuto avviare l’iter per la liquidazione. Risorse che, pur non consentendo di riequilibrare la situazione finanziaria, «consentirebbero la provvista per gli investimenti del piano operativo 2019- 2020».