Tutto si poteva immaginare, nella partita fra 5 Stelle e Pd sulla giustizia, fuorché trovare «l’unico punto di divergenza», come lo definisce Alfonso Bonafede, nel sorteggio per il Csm. Basta tornare allo scenario pre- voto, quando la sola cosa certa sembrava la fermezza del Movimento nel tutelare le aspettative dei magistrati. E invece al vertice «decisivo» sulla giustizia, celebrato ieri dal guardasigilli e da Andrea Orlando a Palazzo Chigi, alla presenza del premier Giuseppe Conte, a scartare la selezione random dei togati è il vicesegretario pd.

Sul resto l’intesa è fatta, e prevede un’altra sorpresa- non sorpresa: la non belligeranza sulla prescrizione. Orlando aveva anticipato anche questo, ma da ieri l’ipotesi è realtà: il Pd lascerà che il 1° gennaio 2020 entri in vigore l’abolizione dell’istituto dopo la sentenza di primo grado. Un via libera che, dal punto di vista del predecessore di Bonafede, si compenserebbe con il «netto miglioramento dei tempi dei processi». In attesa di capire cosa ne dirà il terzo incomodo Matteo Renzi. Bonafede parla di «dimezzamento dei tempi nel penale, che durerà 4 anni» e di «durata media di 4 anni nel civile, il che vuol dire dimezzare i tempi anche lì». Orlando conferma: «Abbiamo condiviso l’impianto e approfondito gli strumenti per raggiungere tale obiettivo, anche con certezze rispetto a questi tempi». Fino al sigillo sull’accordo, impresso da Bonafede: «Non è tra gli obiettivi quello di modificare la norma sulla prescrizione».

PRESCRIZIONE, L’INCOGNITA RENZI

Eppure si tratta del vero nodo politico. Il Pd rinuncia a rivedere lo stop anche per le sentenze di assoluzione. Su questo, di sicuro, è pronta l’offensiva dei renziani. Pochi giorni fa uno dei più deputati di Italia viva più presenti sul dossier giustizia, l’ex sottosegretario Gennaro Migliore, aveva auspicato che fosse eliminato «il paradosso di un imputato dichiarato innocente in primo grado ma esposto a restare sotto processo a vita». E dall’opposizione, a parte le previste contestazioni di Matteo Salvini, è forse l’azzurro Renato Schifani a cogliere di più nel segno: «Com’è possibile che un vertice sulla giustizia non abbia visto la presenza del partito di Renzi? Forse per un già aperto dissenso, peraltro condivisibile?». Nonostante «lo spirito costruttivo» dell’incontro di ieri rilevato anche dal sottosegretario dem alla Giustizia Andrea Giorgis, che pure vi ha partecipato, resta dunque un’incognita notevole. Oltre a quella, meno minacciosa per la maggioranza, delle «intercettazioni» che, spiega Bonafede «sono rimaste fuori dal colloquio, così come il carcere per gli evasori, a cui però teniamo».

LE CONVERGENZE SU CIVILE E CSM

Il resto sembra liscio. Sul processo civile, per esempio, alcune limitazioni imposte alle parti in fase istruttoria non sono troppo lontane da ipotesi che anche Orlando, da ministro, aveva provato a mettere sul tavolo, fermato anche dal dissenso degli avvocati. E sul Csm, lo stesso vicesegretario dem parla con decisione di «radicale riforma», sulla quale «abbiamo condiviso l’idea di procedere». Come? Con tutti gli altri vincoli di incompatibilità per l’elezione dei consiglieri — sia laici che togati — in parte anticipati da Bonafede: se appunto «il sorteggio è l’unico punto che andrà approfondito», spiega il guardasigilli, «sulla riforma del Consiglio superiore e su tutto quello che ne deriva in termini di incompatibilità, di spezzare il legame tra politica e magistratura, di combattere le degenerazioni delle correnti, non ci sono dubbi e abbiamo già cominciato a lavorare, per avere norme molto rigide». Rispunta il profilo spiazzante di un Movimento che, nella maggioranza, è il più fermo nell’intransigenza con le toghe. Ma Orlando non è da meno, non dimentica i propri tentativi di riformare il Csm, in parte dismessi quando era lui a via Arenula, ed è pronto a inserire nel ddl, che sarà «nuovo» rispetto a quello discusso da M5S e Lega, le ipotesi di sistema elettorale elaborate dalla “sua” commissione Scotti.

DDL DELEGA «ENTRO DICEMBRE»

La tranquillità del vicesegretario pd fa agio su un altro assioma pronunciato ieri dal successore Bonafede: «La riforma che dimezza i tempi nel penale e nel civile sarà approvata entro il 31 dicembre». Prima che entri in vigore la “nuova” prescrizione, dunque. Certezza che potrebbe valere, però, al più per la legge delega da varare in Parlamento, ma certo non per i decreti legislativi che dovranno seguirla. Stessa deadline «anche per la riforma del Csm» che, come il resto del pacchetto, «avrà forma di delega ma dovrà comunque essere discussa con i parlamentari», assicura il guardasigilli. Il qualevede nel colloquio a quattro di Palazz Chigi «un passo fondamentale», verso «una vera rivoluzione». Dettagli da sistemare, anche a livello “apicale”, comunque ce ne sono. Non solo sul Csm, perché Orlando ribadisce che nel testo vecchio, quello dell’era gialloverde, «c’erano cose buone e altre che non condividiamo». Alcune non c’erano affatto: per esempio l’estensione del patteggiamento, sgradita a Salvini e Bongiorno ma cara all’Anm e soprattutto all’avvocatura. Una modifica sulla quale il Pd è d’accordissimo. Chi da via Arenula se n’è andato, come l’ex sottosegretario leghista Jacopo Morrone, ricorda d’altra parte «la collaborazione costruttiva» con il ministro m5s e lo esorta: «Tutta quell’attività non vada perduta per compiacere un alleato che ha fallito su tutti i fronti». Ma in realtà, come dice Schifani, a insidiare le certezze sarà Renzi. Sulla prescrizione innanzitutto. Anche se Bonafede e Orlando, da ieri, sembrano certi di aver disinnescato la bomba.