«Il nuovo «patto di solidarietà» europeo sui flussi migratori altro non è se una nuova «operazione Libia». Che non solo rischia di non risolvere il problema, ma addirittura potrebbe provocare «un respingimento di massa», che farebbe finire i migranti «nelle mani dei loro torturatori». È questo l’allarme lanciato da Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell'Arci, che ha consegnato un appello al Parlamento e al Governo per annullare gli accordi con la Libia.

Quali sono i punti critici della bozza di accordo firmato a Malta?

La cosa che ci preoccupa di più è il ruolo che sembra essere affidato alla Guardia costiera libica. Com’è noto, l’accordo riguarda i naufraghi, ovvero quelli che vengono salvati e ai quali bisogna assegnare un porto sicuro. Ma nel testo del documento, nonché dalle dichiarazioni del ministro dell’Interno, viene fatto un plauso e viene mostrata grande apertura di credito nei confronti della Guardia costiera libica, il che ci fa pensare che l’accordo sottintende il fatto che Malta e l’Italia tenteranno in tutti i modi di riconsegnare le persone salvate nelle mani dei loro torturatori.

E rimangono validi gli accordi con la Libia...

Appunto. Nel testo si fa riferimento al fatto che chiunque effettui un salvataggio debba obbedire al governo e fare ricorso alla guardia costiera, anche quella libica. Ma è chiaro che sarà soprattutto quella libica. E non è accettabile, perché ci sono centinaia di testimonianze sui casi di tortura. Stanno compiendo crimini contro l’umanità e anche noi siamo responsabili, perché li finanziamo. Mi sembra veramente inverosimile che si possa considerare un passo avanti mettersi d’accordo per affidare le persone appena salvate a coloro che le torturano.

Tunisia, Algeria e Marocco potrebbero diventare “porti sicuri”. Ma è davvero così?

Questa è un’altra ambiguità. C’è un problema di fragilità interna in questi Paesi, dove ci sono processi complicati in atto, che verrebbero destabilizzati e anche inquinati dall’intervento esterno. Ciò, ad esempio, potrebbe portare i gruppi interni a sgomitare per accreditarsi davanti alla comunità internazionale, per far arrivare i soldi, scombinando così gli equilibri interni del paese. Se vogliamo aiutare la Tunisia ad arrivare ad una situazione di stabilità della propria democrazia, tutto dobbiamo fare tranne che utilizzarli per i nostri scopi. Nessuno di questi è un porto sicuro, ma non è difficile inventarselo: la diplomazia europea è forte rispetto a paesi fragili, poveri e in difficoltà. E si è già inventata il concetto di “Sar ( search and rescue, ndr) libica”.

È un’invenzione italiana?

Assolutamente sì, con tutto quello che ne consegue. Abbiamo fornito noi la strumentazione e tutto il resto. I libici della Sar non se ne fanno assolutamente nulla, stanno solo facendo un favore all’Italia, che rimanda indietro la gente.

L’accordo, allora, rischia di complicare la situazione?

Il principio di ripartizione è un buono e se ciò significa che Italia e Malta ricominciano a far sbarcare le persone che vengono salvate di sicuro è un risultato positivo. Però, il rischio è che, in realtà, questi Paesi si mettano d’accordo per far funzionare questa operazione con un ulteriore investimento sulla cosiddetta Guardia costiera libica, con un respingimento di massa, di fatto, demandato ai libici, ma coordinato dagli italiani.

Come ne escono le ong da questo accordo?

Ancora una volta criminalizzate. Il documento impone alle ong di obbedire al governo italiano, per cui se il governo ci dice che dobbiamo riconsegnare i migranti alla Guardia costiera libica siamo obbligati a farlo, altrimenti incorriamo in una multa. Rispetto al decreto sicurezza è solo più bassa, ma in realtà non è cambiato nulla: rimane intatto un meccanismo di criminalizzazione di organizzazioni che dovrebbero essere premiate, non multate.

Come vi opporrete?

Abbiamo presentato un appello al Parlamento e al Governo affinché vengano aboliti i decreti sicurezza e vengano annullati gli accordi con la Libia. Speriamo di convincere questo Governo, almeno le sue parti più sensibili, che questa “operazione Libia” è a perdere. Almeno in termini di giustizia.