Luigi Di Maio, da New York, prova a frenare la potenziale emorragia di deputati e senatori M5S, rispolverando un vecchio cavallo di battaglia: il vincolo di mandato per «mettere fine a questo mercato delle vacche». Ma visto che l’alleato di governo non vuol sentire nemmeno parlare di proposte simili, il capo politico prova a sfoggiare un’altra arma con i potenziali parlamentari grillini in uscita: chiedere un «risarcimento di 100mila euro» ai “traditori”, come previsto dalla clausola di salvaguardia del Movimento sottoscritta da ogni eletto al momento della candidatura. Insomma, Di Maio si appella agli antichi valori pentastellati per contenere le perdite: onestà, fedeltà e trasparenza.

Ma a ben guardare, l’ultimo dei tre valori indicati non sembra più rappresentare un dogma per cinquestelle. E non solo perché le assemblee politiche in diretta streaming sono ormai un lontano ricordo, ma perché l’ossessione della chiarezza con i cittadini sembra essere venuta meno.

Un esempio? Le rendicontazioni, ovvero le pezze d’appoggio richieste dal partito ai parlamentari sulle spese sostenute nell’esercizio del loro mandato e pubblicate sul sito pentastellato tirendiconto. it.

Nonostante da tempo non sia più possibile visualizzare i dettagli dei costi sostenuti da deputati e senatori, l’obbligo alla rendicontazione e alle restituzioni resta, ed è addirittura regolato da un comitato ad hoc composto da Luigi Di Maio, Stefano Patuanelli e Francesco D’Uva. Ma non sembra che l’organismo agisca con solerzia nei confronti dei propri eletti. Se un tempo un ritardo nella presentazione degli scontrini poteva costare l’espulsione ( chiedere all’ex sentarice Serenalla Fucksia) ora il Movimento sembra più disposto a chiudere un occhio.

Se il capo politico non rendiconta da maggio ( l’ultimo mese consultabile sul sito è agosto), altri colleghi della composita squadra pentastellata di governo non presentano “ricevute” dal dicembre dello scorso anno. È il caso, ad esempio, di Riccardo Fraccaro, uomo di fiducia di Di Maio, è importantissimo sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Nelle stesse condizioni del sottosegretario è anche il neo ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti:

ultima scheda consultabile: dicembre 2018. Fa un po’ meglio la titolare del Lavoro, Nunzia Catalfo, le cui rendicontazioni si interrompono però allo scorso gennaio. Si spingono fino al mese successivo, febbraio, Fabiana Dadone e Manlio Di Stefano, rispettivamente ministra per la Pubblica amministrazione e sottosegretario agli Esteri. Quasi nessun membro del governo si spinge oltre maggio. Fa eccezione solo Lucia Azzolina, sottosegretaria all’Istruzione, le cui spese sono visionabili fino a luglio, penultimo mese consultabile.

Dando un’occhiata oltre i confini del governo si scoprono altre dimenticanze eccellenti. Sono più di una trentina, infatti, i parlamentari che non aggiornano il loro profilo dal dicembre dello scorso anno. Tra loro, spicca uno dei senatori più critici nei confronti della gestione Di Maio come Michele Giarrusso. Ma non sono da meno Carla Ruocco, Dalila Nesci.

E poi ci sono quelli le cui tracce si perdono da tempo. Il primo nome che salta agli occhi è di Gelsomina Vono, la cui posizione appare ancora tra i parlamentari M5S nonostante abbia appena abbracciato Italia Viva, il Movimento di Matteo Renzi. La multa di 100 mila euro annunciata da Di Maio era proprio riferita a lei, neo transfuga di Palazzo Madama. La senatrice non aggiorna le sue spese da un anno, dal settembre 2018. Allo stesso mese sono fermi altri cinque parlamentari. L’ultima scheda consultabile di Marta Grande risale invece al novembre scorso. Vince la classifica generale

Lello Ciampolillo, senatore da tempo considerato con un piede fuori dal Movimento, che non rendiconta sul sito grillino dal giugno dello scorso anno.

Infine, menzione speciale meritano gli zelanti, i portavoce più attenti alla trasparenza, le cui rendicontazioni figurano fino a luglio. In tutto 14 eletti, oltre alla già citata Lucia Azzolina. E anche in questo elenco compaiono nomi noti. Francesco D’Uva, capogruppo grillino alla Camera e Gianluigi Paragone, molto vicino ad Alessandro Di Battista e da molti indicato a capo della fronda anti Di Maio a Palazzo Madama.

Un piccolo drappello di virtuosi, in mezzo a tanti parlamentari un po’ distratti.